IL PONTE ROMANO DI DECIMOMANNU
Le fonti
II ponte antico di Decimomannu viene menzionato per la prima volta, nell'opera manoscritta In Sardiniae Chorographiam, compilata tra il 1580 e il 1590 dal sassarese Giovanni Francesco Fara. Viene descritto un «pontem maximum tredecim fornicum», il quale scavalcava il «Flumen Caralis» tra Decimomannu e Decimoputzu. (1)
Si riparla di questa costruzione nella metà del XVI 11 secolo: Vincenzo Angius, padre scolopio che curò le voci riguardanti la Sardegna nel Dizionario Geografico del regno Sardo-Piemontese, nota il degrado e l'abbandono del monumento, e per primo azzarda una datazione, proponendo l'età medioevale.(2) Pochi anni più tardi, il canonico Giovanni Spano ricorda l'esistenza di un ponte a «nove foci», il che potrebbe far pensare ad un suo ulteriore degrado, e lo annovera tra i monumenti romani presenti nella zona. (3)
Nel 1938 viene segnalata alla Soprintendenza Archeologica, da parte del Comune di Cagliari, l'esistenza di questo monumento, ma si deve attendere il 1963 per la una sua descrizione completa, corredata da immagini fotografiche, apparsa nello studio di F. Fois. L'autore data la costruzione ad età romana, e la inserisce nella rete viaria che, in età punica e romana, collegava le città più importanti del meridione della Sardegna: Karalis (Cagliari) e Sulci (S. Antioco). Egli però sbaglia nella sua ubicazione geografica, e la pone sul Rio Mannu (oggi non più esistente in quel tratto, perché deviato a monte), mentre in realtà il ponte, stando alla cartografia attuale, parte dalla regione denominata «Bingias Mannas», in agro di Decimomannu, supera il corso di un fiume che viene chiamato localmente Rio Sesi, detto anche Flumini Mannu e Riu de Samassi, e raggiunge il territorio del comune di Uta. Da segnalare un'immagine fotografica, risalente alla prima metà di questo secolo, dove il ponte appare ancora in piedi e transitato, in una pubblicazione erudita edita nel 1971. Un'altra citazione appare nell'elenco dei ritrovamenti romani in Sardegna di R.J. Rowiand edito nel 1981, mentre una scheda tecnica del ponte è apparsa recentemente nell'opera di Vittorio Galliazzo, che in base alla tecnica costruttiva pensa «ad un importante manufatto costruito nella prima età imperiale», e più precisamente di età giulio-claudia .
Il monumento e l'indagine archeologica
Oggi sono
visibili, per chi proveniendo dal paese di Decimomannu percorre la via sterrata
denominata Strada del Ponte Romano, le prime tre arcate a tutto sesto del
ponte, con uno sperone tra la seconda e la terza , per una lunghezza
complessiva di circa 40 m, circa 90 m della strada di ingresso al ponte,
delimitata nel lato nord ovest da un muro e i resti dei piloni di un'altra arcata,
ora crollata, che appaiono nell'alveo del Rio Sesi nei periodi di siccità, per
cui è plausibile l'ipotesi di un ponte di circa 160 m di lunghezza.
Le misure del
monumento, nella sua sistemazione attuale, sono le seguenti: larghezza massima
del ponte m 5; larghezza dei parapetti m 0,5; larghezza della carreggiata m 4;
altezza massima dal livello di fondazione m 3,25;
luce dell'arco maggiore m 4,10.
L'unico pilone interamente visibile, quello tra il secondo e il terzo arco, ha una larghezza di m. 3,6, e vi si inserisce uno sperone frangiflutti a monte, mentre il lato opposto non presenta contrafforti. Un secondo sperone si intravede alla base della pila successiva, dove però è interamente sepolto dall'argine artificiale soprastante.
Sono
riconoscibili almeno tre fasi edilizie distinte, alle quali va aggiunta una
quarta, pertinente agli ultimi lavori di restauro. La prima, quella
originaria, è costituita da blocchi di pietra calcarea messi in opera a secco,
ed è conservata nei resti dell'arcata e delle spalle crollate nell'alveo del
fiume, nonché nelle ghiere degli archi e, forse, in parte dell'estradosso e
delle spalle dei primi tre archi. Anche gli speroni frangiflutti, nella loro
base in pietra ben
inserita nelle pile, dovrebbero far parte
dell'opera originaria.
In un secondo momento il
monumento venne quasi interamente ricostruito nel lato sud est con ciottoli
fluviali affogati in una malta cementizia di colore grigiastro, diversa
dall'opus caementicium romano per colore, consistenza (molto friabile) e
assenza di inclusi ceramici. Nel lato nord ovest tali restauri sono limitati
al parapetto, ma l'irregolare messa in opera di molti blocchi squadrati e la
presenza della stesso tipo di malta tra gli stessi, che in larghi tratti assume
l'aspetto di intonaco, può far pensare ad un restauro eseguito con blocchi
crollati e riutilizzati. Questa fase di ricostruzione è presente anche negli
speroni, dove la base in pietra è stata riempita e rialzata con l'aggiunta di
ciottoli legati con la stessa malta.
È possibile
notare una ulteriore fase di restauro, ancora con l'uso di ciottoli locali,
messi in opera nelle parti crollate utilizzando la malta soltanto nella parte
interna, col risultato di lasciare le pietre sporgenti . L'ultima fase di
restauro ha ripreso l'uso dei ciottoli nelle parti rovinate già così costruite;
mentre il lato sud est del secondo
arco, e parte delle spalle, sono stati ricostruiti interamente con blocchi di
arenaria lavorati in loco, riconoscibili per il loro colore giallognolo, ben
distinto da quello biancastro dei conci calcarei.
Un saggio di scavo è stato
effettuato al di sotto di parte della spalla tra il primo e secondo arco, nel
lato sud est, con la speranza di acquisire elementi di carattere stratigrafico
utili per la datazione del monumento. Si è avuta soltanto la conferma che, in
questo tipo di costruzioni idrauliche, la stratigrafia del terreno assume, con
il passare dei secoli, un aspetto omogeneo, in maniera del tutto simile a
quanto si ha modo di notare nei depositi marini, lagunari e portuali, dove reperti
distanti cronologicamente centinaia d'anni appaiono accostati senza alcuna
cesura stratigrafica. In questo caso, comunque, i materiali ceramici sono
molto scarsi, soggetti ad una forte fluitazione, e di difficile riconoscimento.
Dal punto di vista strutturale, le fondamenta del ponte sono realizzate con
pietre lavorate di riutilizzo e rozze, aggettanti circa m 0,6 del filo del
parapetto e accostate senza leganti seguendo un piano inclinato verso l’interno
della struttura, sino a raggiungere una profondità di circa m. 1,5.
Un altro
aspetto tecnico emerso durante i lavori di ripulitura è dato dalla presenza di
alcuni fori, alla base delle volte, destinati probabilmente al drenaggio
delle acque raccolte dal piano stradale.
Un discorso a
sé merita l'analisi del piano stradale, che risulta tecnicamente omogeneo sia
nella parte sopraelevata che in quella sulla terraferma.
La carreggiata
sul ponte è realizzata con ciottoli fluviali di medie dimensioni, intervallate
raramente da pietre piatte più grandi, pressate su terra mista a ghiaia che
riempie, senza strati di preparazione, gli spazi tra le spalle e sopra le
volte.
La strada
continua, con la stessa semplice tecnica, in direzione dell'abitato, come è
stato evidenziato da alcuni saggi effettuati lungo la strada comunale: soltanto
una decina di centimetri dividono lo sterrato attuale dall'acciottolato
antico.
Sino a circa 80 m
dall'imboccatura del ponte, in direzione Decimomannu, i parapetti del ponte
continuano senza soluzione di continuità nel lato nord ovest, mentre in quello
sud est sono stati demoliti negli ultimi anni per realizzare una cunetta. La
presenza di un muro di delimitazione e contenimento, necessaria per evitare un
rapido interramento della carreggiata, è facilmente spiegabile
con la natura di questo suolo, soggetto a periodiche alluvioni. Il parapetto, nel lato nord ovest, presenta anch'esso due diverse fasi costruttive. Una prima, con grossi blocchi squadrati a secco, è presente a livello di fondazione nell'imboccatura del ponte, e per un elevato di circa 60 cm a 80 m di distanza dall'imboccatura del ponte, e l'acciottolato si accosta ad esso. Tra questi due tronconi si inserisce una struttura in ciottoli fluviali, legati con la stessa malta utilizzata nelle integrazioni del ponte, ma che si discosta verso nord ovest dalla carreggiata, creando una sorta di triangolo molto allargato. Sono stati effettuati dei saggi per verificare se la strada seguiva questo andamento e si è potuto constatare come il muro, costruito in epoca più tarda, si discostava da questa creando una sorta di sperone allargato, destinato probabilmente ad offrire una maggiore protezione dalle ondate di piena .
Con
l'approfondimento dei saggi, al di sotto del muro in ciottoli ed al di sotto
della carreggiata, sono emersi dei blocchi squadrati, messi in opera a secco,
sui quali poggia direttamente il muro di delimitazione. Questi creano un
muragliene dello spessore massimo di circa m 2, che corre perpendicolarmente
verso la strada. Si era giunti ormai agli ultimi giorni di cantiere, per cui
dopo aver documentato le strutture, si è proceduto al ricoprimento delle
stesse, in attesa del nuovo intervento di scavo per poter indagare meglio
questa situazione.
Possiamo
soltanto ipotizzare che in questo punto, vista la discontinuità dell'idrografia
della zona, possano essere esistite, in un'epoca più antica, delle opere
idrauliche per la protezione di una strada della quale non ci è concesso, al
momento, riconoscere il tracciato e l'orientamento.
La particolare
situazione idrografica della Sardegna, caratterizzata da lunghi periodi siccitosi,
interrotti sporadicamente da grosse precipitazioni collegale ad alluvioni, ha
sicuramente reso necessari, nel corso dei secoli, restauri e ricostruzioni di
strutture quali i ponti, causando la scomparsa di eventuali strati archeologici
databili.
Non ci resta
altra via che il confronto architettonico con monumenti simili, databili
attraverso le fonti storiche e geografiche, fonti che, per quanto riguarda la
Provincia Sardinia, sono notoriamente scarse; per esempio, il percorso che da
Cagliari, attraverso Decimomannu e la valle del Cixerri, raggiungeva S.
Antioco, non è neppure citato negli itinerari antichi . Conosciamo però la sua
esistenza attraverso alcuni miliari, che testimoniano lavori lungo la via a
Karalibus Sulcos oppure a Sulcis Karales, a partire almeno dal regno
di Vespasiano (70 d.C.). Per motivi geografici ed economici si ritiene che un
tracciato stradale di una certa importanza doveva essere utilizzato almeno a
partire dal dominio punico dell'isola .
Dal punto di vista tecnico,
restando in ambito sardo, i confronti più stretti con il ponte di Decimomannu
sono quelli con le strutture omologhe di Porto Torres, Othoca, S. Antioco,
Allai e Alghero . Di tutti questi non sono state proposte datazioni sicure,
tranne che per il ponte sul Rio Mannu di Porto Torres. La città, denominata dai
geografi antichi Turris Libisonis Colonia Iulia, è la prima colonia di
cittadini romani dedotta nell'isola, ai tempi di Giulio Cesare o, al più
tardi, ai tempi di Ottaviano prima del 27 a.C.; ad età augustea, infatti, viene
datata la costruzione del ponte (18). Dobbiamo ricordare, inoltre, che
l'arteria principale della Sardegna, la via a Turribus Karales, dovette
ricevere i primi interventi di sistemazione proprio in quel periodo, come
attesta il più antico miliario, rinvenuto in una zona centrale dell'isola distante
dalla stazione di partenza, che è datato al 13-14 d.C. Tale datazione
attesterebbe quindi una fase molto avanzata dei lavori, il cui inizio
rimonterebbe a parecchi anni prima.
In attesa di
ulteriori saggi archeologici, previsti nei prossimi lavori di sistemazione
dell'area del ponte di Decimomannu, e sulla base di questi confronti, sembra
plausibile proporre una datazione di questo monumento ad un'epoca compresa tra
la seconda metà del I sec. a.C. e l'inizio del I sec. d.C.
Fabrizio Fanari