Il culto di Santa Greca

 

Quando il  grande splendore dell’impero incomincia ad affievolirsi,  da Roma si irradia una nuova luce: quella del Cristianesimo. Seguendo le stesse vie battute dai legionari, lungo le quali più intensa fluiva la vita, militare, civile e mercantile, i pellegrini apostolici, banditori della nuova fede, dalle città costiere avanzarono verso l’interno, lasciando ovunque nuclei di neofiti cristiani, che a loro volta diventavano centri di espansione nelle regioni più interne. La nuova religione si diffuse assai presto in Sardegna. Il cimitero paleocristiano di Bonaria, l’ipogeo di Bonorva, le catacombe di Sulcis, i forum traiani e di Tharros, attestano che al tramonto del primo secolo o agli albori del secondo, esistevano già in Sardegna numerosi nuclei di comunità cristiane, e cioè prima ancora che la nuova religione uscisse vittoriosa, dopo tre lunghi secoli di terrore e di sangue.

Anche nel piccolo “pagus “, sorto al decimo miliario della strada romana, si formò un piccolo nucleo cristiano; ciò fa pensare quasi ad una tappa di cristiani che, dal centro di Caralis, si spinsero a cercare  lontano dalla città la pace ed il silenzio, in uno dei momenti più acuti e drammatici delle persecuzioni. Secondo una pia tradizione confortata da prove storiche, a Decimo una giovinetta cristiana chiamata Greca, subì il martirio per la fede  durante l’ultima grande persecuzione di Diocleziano nel 303 d.C.

Una giovinetta conquistata alla nuova fede e che si era adoperata per diffonderla, nonostante il divieto imperiale; fu perciò accusata e condotta davanti al procuratore romano Flaviano, e avendo ricusato di sacrificare agli Dei del paganesimo, fu condannata a morire di spada.[1]

Un’epigrafe funeraria, posta sulla sua tomba, dice che in quel sepolcro vi fu deposta la salma di Greca, morta all’età di anni venti, mesi due, giorni diciannove.

L’iscrizione sicuramente genuina, e riferibile al IV secolo,  non accenna al martirio, che peraltro è ignorato anche dai vari martirologi. Ma l’omissione non è isolata. Anche altri martiri sardi, con una antichissima tradizione di culto, come S. Efisio, S. Antioco, non figurano nel martirologio. Tuttavia non può mettersi in dubbio la storicità del loro martirio, confermato da remote tradizioni di culto e da antiche chiese sarde a loro dedicate.[2]

Sul luogo della  tomba di Santa Greca, sorse una “cella memoriae”  e più tardi un santuario veneratissimo che divenne centro di culto.[3] Già nel  IX secolo sembra vi fosse stabilito un centro monastico femminile la cui origine potrebbe collegarsi ai vescovi africani esiliati in Sardegna da Trasamondo, re dei Vandali, ed in particolare  a San Fulgenzio, il giovane monaco vescovo di Ruspe, che fondò il monastero di San Saturnino di Cagliari, da cui prese l’avvio l’espansione monastica orientale in Sardegna.

San Gregorio Magno, nelle sue lettere, ricorda numerosi monasteri femminili situati nel Campidano cagliaritano, e trova argomento di conforto il rapido diffondersi nell’isola della vita monacale e l’amore alla virtù dimostrato da quelle anime pie che avevano aderito alla regola di San Benedetto. Fra le Abbadesse preposte a quei monasteri Egli ne ricorda alcune tra le più illustri : Giuliana, Pompeiana, Teodosia, Siriaca, Gavina, Desideria e Greca.

Un sarcofago di marmo, che si trova ora al Museo Archeologico di Cagliari, la cui provenienza è stata attribuita all’antico monastero di Decimo da P. Antonio Ferrua, illustre archeologo della Pontificia  Commissione di archeologia sacra di Roma, reca la seguente iscrizione greca: “ ricordati, o Signore, della tua serva Greca, monaca. Amen. Incorreranno nell’anatema dei 365 Padri (del Concilio di Nicea) coloro che apriranno questa cassa, perché’ essa non contiene nè oro nè argento”.  Abbiamo con ciò la conferma che  nel IX secolo esisteva già a Decimo un Monastero femminile di tradizione bizantina, perché bizantina è la lingua dell’iscrizione; femminile perchè così attesta il nome e la qualità della defunta, probabilmente una abbadessa.[4]

Del monastero non rimane oggi alcuna traccia; si ritiene che esso fosse situato nell’area compresa tra la Chiesa di Santa Greca, il C.so Umberto e la via Santa Greca.

Dopo alcuni secoli di silenzio i documenti ci riparlano ancora del Monastero di Decimo nella prima metà del 1300.

Nel Libro dei Censi della Chiesa Romana relativo agli anni 1340 e 1350, fra le chiese e i monasteri sardi soggetti al pagamento delle decime alla Sede Apostolica, vi figura anche il monastero di S. Greca di Decimo maiori per la somma di  librarum unam, soldos decemseptem, denariorum sex’’.

Al n. 518 -"Abatissa Monasteri S. Greca" alf. Libr. XI, sol. VI - 1341.

Al n. 1019 - Abatissa Monasteri S. Greca alf. Libr. XVIII - 1342.

Al n. 1561 "Abatissa Monasteri S. Greca alf. Libr. XII, sol. 8 - 1346.

Al n. 1819 - "Monasterio S. Grege de Decimo"  libr. 1, sol. 17 - 1346

Il 21 gennaio 1359, il vescovo Raimondo Gileti di Solci, prelato insigne per avere per molti anni ricoperto l’importante carica di collettore pontificio in Sardegna, lega nel suo testamento 10 libre d’argento, moneta del tempo, in favore del Monastero di S. Greca, per l’acquisto di tunigelle per le monache ivi dimoranti.

"Item dimittimus amore Dei et intuitu elemosine monialibus monasteri S. Gtreche situati in villa Decimi Majoris ad opus induendi easdem singulas tunicellis decem libras predicte monete (Alfonsini minuti)".

Il 23 luglio 1363, Alberto Zatrillas, viceré di Sardegna, ingiunge al luogotenente del  Vicario del Comune di Pisa, per l’amministrazione delle terre di Gippi e Trexenta, di restituire una certa somma indebitamente riscossa per il bestiame introdotto al pascolo nel “Salto di S. Giorgio”, presso Decimoputzu, che l’abbadessa del monastero di Santa Greca di Decimo aveva affittato a D. Giovanni Carroz dal Monastero di Santa Greca di Decimonannu cui apparteneva.

Infine da un documento spagnolo conservato a Barcellona, nell’Archivio di Aragona che reca la scritta: “Sardinia”, del 21 giugno 1413 risulta che quell’anno reggeva il Monastero di S. Greca la nobildonna Donna Isabella Rossellò, figlia di D. Bernardo, nobile Valenzano che fu confermata nella dignità della sua carica dall’arcivescovo cagliaritano Giovanni Dexart.

In  quel tempo il Monastero risulta posto sotto l’alto patronato dei sovrani aragonesi i quali lo dotarono di privilegi e donazioni.

Nello stesso anno il re Ferdinando I° d’Aragona concesse al medesimo Monastero importanti privilegi ed esenzioni oltre alla sua particolare protezione.

A questo punto non abbiamo più notizie del Monastero, che dovette cessare la sua esistenza verso il 1460 circa, per cause a noi ancora ignote e tanto di esso quanto della sua ricca dotazione patrimoniale non ci restano che scarne e lacunose notizie.

L’unica traccia pervenuta ai tempi nostri del Monastero, consiste nella bocca di una cisterna romana conservata e utilizzata dalle monache e che si trovava all’interno dell’atrio del monastero.

Circa un secolo più tardi e precisamente con il governo di Mons. Parragues (1558-1573) il Monastero e la chiesa di Santa Greca erano ormai in rovina. Mentre il Monastero andò completamente distrutto ed alienato a privati, la chiesa fu invece ricostruita ex novo. Durante la ricostruzione del Santuario, andò smarrita una lapide con una importante iscrizione che riguardava la santa, e la cui esistenza fu attestata da numerosi testimoni degni di fede.

L’arciv. Francesco Del Val,  durante una sua visita pastorale chiese informazioni al  Parroco, della famosa lapide, ma nessuno seppe dire dove si trovasse  esattamente. Di certo si sa soltanto che essa fu riposta esattamente nello stesso luogo in cui poi fu rinvenuta la tomba.

A tutti questi dati, anteriori alla “invenzione” delle reliquie avvenuta nel 1614,  seguono quelli riguardanti il culto di Santa Greca nei secoli successivi.

Nel 1614, appunto, l’arciv. D’Esquivel diede inizio nella sua diocesi alle ricerche dei corpi santi di cui il culto aveva una remota tradizione. Anche a Decimo il canonico Giacomo Spiga ed il marchese di Villacidro animati da pio desiderio vollero intraprendere le ricerche delle venerate spoglie di S. Greca. Eseguiti degli scavi sul luogo dove era situato l’antico sacello fu ritrovata la tomba e la lapide che ricopriva il rustico sarcofago.

Le reliquie furono portate al Duomo di Cagliari. Solo una piccola parte di esse fu collocata in un loculo dignitoso ed artistico sopra il tabernacolo dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale di S. Antonio Abate, un’altra reliquia viene tuttora esposta nel santuario al culto dei fedeli durante le feste annuali in onore della Santa.

Una di queste venerabili reliquie viene portata in processione dalla parrocchia alla chiesa della Santa, la vigilia della festa principale, verso il tramonto con grande solennità e affluenza di fedeli. I fedeli chiamano questa cerimonia “s’incontru”, cioè l’incontro del simulacro della Santa con le reliquie, che avviene non lontano dal sagrato.

Il considerevole patrimonio, appartenente alla chiesa di S. Greca (Azienda di S. Greca), nonostante la regia protezione dei re aragonesi, durante la dominazione spagnola, andò soggetto a usurpazioni e spoliazioni e giunse assai assottigliato sino alla prima metà del secolo scorso, allorché fu incamerato nel demanio dello Stato, nel 1850, in applicazione della famosa legge Siccardi. Allora la chiesa di Santa Greca ebbe in suo favore una cedola del debito pubblico italiano del valore nominale di 129 lire sarde.

LA SAGRA DI SANTA GRECA

 

Il paese di Decimomannu deve la maggior parte della sua popolarità alla sagra di S. Greca, sicuramente una delle più note ed importanti che si svolgono nell’Isola.

Anticamente la festa principale, contrariamente a quanto avviene attualmente, si svolgeva il 1°maggio e durava 10 giorni, una seconda festa secondaria, si svolgeva l’ultima Domenica di settembre e durava invece 3 giorni.

Ambedue le feste richiamavano una gran folla di devoti da tutta la Sardegna.

Troviamo una interessante e colorita descrizione della Sagra di Santa Greca, come si svolgeva nei primissimi anni ‘60, in un articolo apparso sul quotidiano ‘’l’Unione Sarda’’ del 22 settembre 1961, pag. 6, firmato dal Maestro Francesco Ponti, allora corrispondente del quotidiano sardo.

Il medesimo articolo apparve, lo stesso giorno, anche sull’altro giornale isolano “La Nuova Sardegna”.

 “Tra storia e leggenda

LA SAGRA POPOLARE DI SANTA GRECA A DECIMO.

Fra le feste popolari della Sardegna una delle più caratteristiche è certamente quella che l’ultima Domenica di settembre di ogni anno Decimomannu celebra in onore della sua celeste patrona Santa Greca vergine e martire.

Riuniti in allegre brigate i festaioli accorrono numerosi da ogni parte, dai vicini campidani, dai casolari più sperduti del Sulcis, dall’assolata Trexenta e persino dai remoti paesi della Barbagia, con i mezzi più svariati a loro disposizione.

Nella vasta piazza antistante il santuario, su uno sfondo verdeggiante di vigne e agrumeti, si stendono per largo raggio le caratteristiche baracche dei commercianti improvvisati che offrono con insistente richiamo le merci più svariate: dai prodotti tipici dell’artigianato rustico isolano, ai giocattoli, agli attrezzi agricoli, ai dolci sardi, ai vini,  al porchetto e al muggine arrostiti alla brace in improvvisate cucine.

All’interno del santuario, molto piccolo ed incapace di contenere tanta animazione, la folla fa ressa in permanenza per partecipare alle numerose funzioni religiose che vi si susseguono con ritmo continuo. Scene di mistico fervore avvengono davanti al venerato simulacro della martire: sono i postulanti che con voce accorata implorano la  divina intercessione per le grazie desiderate.  Spettacolo commovente e indimenticabile  per chi vi ha assistito.

Ma poichè tutti i salmi finiscono in gloria, lo scioglimento dei voti e i riti religiosi non impediscono gli allegri spensierati simposi, ed il mistico odore dell’incenso si confonde col fumo grasso e penetrante dell’arrosto che si diffonde leggero nell’aria che invade con prepotente insistenza ogni più riposto angolo della sagra.

All’aperto sopra gli improvvisati tendoni o all’ombra fresca degli alberi, la sagra si risolve in abbondanti merende e in più lauti rusticani desinari, innaffiati abbondantemente di generoso vino.

Non mancano le attrattive, i passatempi più o meno innocenti, le gare satiriche di improvvisatori dialettali, i trallaleras e le danze leggiadre intrecciate dai giovani d’ambo i sessi all’allegro ritmo di una chitarra vagabonda o delle rustiche launeddas o di un armonioso organetto.

Fervore religioso e spensierata allegria che si fondono per dar vita e colore alla sagra autunnale di Santa Greca in un’atmosfera di serena distensione.

A Sant’Arega andeus

tottus a una cambarada

e a domo torreus

cun sa conca segada!

E’ il ritornello delle allegre comitive che giungono numerose alla sagra, che ha origini remotissime e un concorso di fedeli da secoli costante.

Secondo uno scrittore seicentesco che ne ha tramandato una scarna patetica descrizione, le funzioni religiose culminavano con una solenne processione che sfilava fra due fitte ali di popolo e che destava un certo interesse per la sua singolarità.

Apriva il corteo la lunga schiera dei donatori di animali e di altri oggetti, che sorreggevano le loro offerte; seguiva il cocchio dorato della Santa con a fianco il gremio dei pescatori con la teca argentea delle Reliquie, il gremio dei figoli, dei contadini, gli artigiani e i numerosi fedeli con i ceri accesi che recitavano in dialetto il rosario. Seguivano i penitenti che per grazia ricevuta procedevano in ginocchio o trascinando pesanti catene di ferro o robuste croci di legno, i cavalieri in costume su destrieri ornati di fiori e fregi, i buoi parati a festa con le corna fasciate di orpello, ricche di nastri e sormontate da mazzi di fiori e con un’arancia infissa nelle punte, con la fronte fregiata da drappi di broccato a frange multicolori e il collo adorno di collane a sonagliera con un grosso campanello al centro.

I contadini decimesi facevano a gara per mandare il giogo migliore con  l’abbigliamento più splendido.

I suonatori di launeddas, fra i gruppi del corteo, accompagnavano con le loro melodie il coro dei goccius che i fedeli intonavano in onore della Santa nel lungo giro della processione per le vie del paese, addobbate a festa per la solenne circostanza.

Molte di quelle usanze sono già da molto tempo cadute in disuso; la grande devozione che i fedeli nutrono per Santa Greca non è venuta meno nel lungo procedere dei secoli. Lo dimostrano le ricche offerte che essi ancora depongono ai piedi del suo simulacro, sorvegliato continuamente a vista, giorno e notte, dagli obrieri che si avvicendano a turno per tutto il tempo dei festeggiamenti.

Lo Spano racconta che nel 1822, che fu un anno di eccezionale raccolto, le offerte al santuario ammontarono a venti vacche, ottanta agnelli, trenta maiali e trecento galline oltre a numerose offerte di gioielli, di ceri e di denaro.

Le bestie offerte, ornate con nastri multicolori, venivano introdotte nel santuario attraverso la porta principale e portate davanti al simulacro della Santa perchè potesse vederli e poi condotte al cortile ove si raccoglievano e si custodivano distinti e separati da appositi recinti.

L’oppido di Decimum, così chiamato perchè posto al decimo miliario della strada militare romana Karalis-Sulcis, durante l’antichità acquistò una certa rinomanza come centro attivo e fiorente dell’industria figulina, i cui prodotti erano assai ricercati nella stessa Roma. A Decimum, secondo la pia tradizione, avrebbe subito il martirio, durante le grandi persecuzioni, una giovinetta cristiana chiamata Greca. La sua tomba divenne meta di culto e di pellegrinaggi sin dai tempi più remoti, attorno alla quale sorse un santuario, che divenne in età bizantina centro di devozione religiosa e forse eremitaggio monastico orientale.

Nel 1614, mentre si scavavano le fondamenta per ampliare l’antico santuario, fu rinvenuta la sua tomba, ricoperta da una lastra marmorea che reca la seguente epigrafe sepolcrale:

B.M. GRECA - QUIESCIT IN PACE - VIXIT ANNIS XX - MENSES II - DIES XVIIII - DEPOSITA - PRIDIE IDUS JANUARIAS.

L’iscrizione per quanto a torto messa in dubbio dal Mommsen, appartiene sicuramente al IV secolo. Da essa si ricava che dentro quel sepolcro il 12 gennaio di un anno imprecisato, furono depositate le spoglie di una giovinetta chiamata Greca, morta in età di anni venti, mesi due e giorni diciannove.

L’iscrizione non accenna al martirio, ma il culto della santa è di moltissimi secoli anteriore al ritrovamento del suo sepolcro. Lo dimostra l’antichità stessa della chiesetta primitiva distrutta nel 1614,  per far posto alla chiesa attuale.’’

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[1] Secondo un’antica tradizione popolare tramandata dai “goccius” in suo onore, la sante venne imprigionata, flagellata e torturata con dei chiodi  infissi nella testa ed infine decapitata..

[2]Ad Aidomaggiore, esiste, infatti, tutt’ora, in una localita’ chiamata “Sa tanca des sos Gregos” gia’ sede di un monastero bizantino, le vestigia di una chiesa antichissima dedicata a Santa Greca.

[3]  Per maggiori informazioni  si rimanda il lettore al capitolo sulla sagra di S. Greca

[4]Un’altra antichissima chiesa dedicata a Santa Greca vergine e martire, riferibile ad età romanica, esisteva nella campagna tra Sedilo e Ghilarza.

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