DON RAIMONDO MAXIA

Parroco di Decimomannu dal 16 gennaio 1922 al 30 dicembre 1940

         La personalità di Don Maxia parroco del nostro paese dal 16 gennaio 1922 si evince dagli atti compiuti, lo si desume da quanto fatto e sopratutto da come lo ha fatto. Aveva uno spirito innovativo ma non sempre si adeguava alla gerarchia ecclesiastica, in alcune occasioni, possiamo dire la prevaricava, tanto che subiva le critiche dei superiori, degli storici e archeologi dei tempi e dai suoi stessi fedeli. La carica gli fece assumere, suo malgrado, molte responsabilità che non sempre erano dovute a sua volontà, anzi!

         Già dal primo anno della permanenza a Decimo, si impose con degli atti di particolari: il 13 agosto fondò la confraternita di Santa Greca, che in poco tempo arrivò a 45 iscritti. La confraternita, tutt’ora esistente, compie gli atti in ausilio al sacerdote nella ricorrenza della festa della Santa, portando a spalla in processione il simulacro sul pesantissimo cocchio in legno dorato.     I confratelli sono vestiti con una divisa e copricapo bianchi, cintura e mozzetta in velluto rossi, disegnati dallo stesso sacerdote, simile a quella di Villasalto dove Don Maxia era stato rettore per ben 13 anni. Il 6 gennaio 1923 le due chiese di Sant’Antonio e Santa Greca furono dotate di impianto elettrico, le spese furono di 328 Lire (facciamo notare che la domanda per     l’allaccio elettrico fu fatta tre anni prima dal suo predecessore Don Cirina). Fu sua idea quella di istituire un “Liber Chronicus” grazie al quale ci sono note molte notizie sulla chiesa e del paese. Fondò anche una rivista paesana; “L’Aurora di Decimo” nella quale si rendevano note tutte quelle iniziative che avrebbero legato maggiormente i fedeli alla chiesa. Come vedremo in seguito disciplinò anche il comportamento degli obrieri di santa Greca.

         In occasione della visita pastorale di Monsignor Piovella, fece edificare una croce a sue spese nel piazzale denominato: “Muntronaxiu de Murantonio”. Questo monumento benedetto dall’arcivescovo il 26 febbraio 1923 era frutto del recupero di un capitello e colonna di pietra bianca, “avanzo” di un tempio antico ubicato accanto al paese, la croce in ferro era prima nel cimitero di San Vito.

Volle porre mano anche alla chiesa di Sant’Antonio. Poiché la facciata era sgretolata anziché farla riparare decise di modificarla, fu innalzato un timpano triangolare che cambiò completamente il significato architettonico della chiesa, come pure la variazione della finestra anteriore che da rettangolare fu arrotondata (per far passare meno luce… la chiesa era troppo illuminata). Il portale in tufo fu rifatto in cemento (di prima qualità), la sagoma del campanile modificata e furono fatte delle cornicette nel piano campanario. Queste modifiche dal punto di vista estetico ed artistico non furono di buon gusto.

         Certo don Maxia doveva avere uno spirito vulcanico, in occasione della festa di santa Greca di maggio e precedentemente per la visita pastorale dell’Arcivescovo Piovella , ci fu il fatto rimasto famoso anche se divulgato con molta discrezione, dell’abiura delle catene di santa Greca, ritenute non storicamente compatibili. Fatte ritirare dalla chiesa e non portate in processione. In quella occasione Don Maxia si adeguò alla gerarchia ecclesiastica, non altrettanto fecero il comitato civile e i fedeli che dovettero soffrire molto per adeguarsi alla novità. Il Reverendo prese la decisione di venderle ma il fatto non si realizzò, tanto che ora sono esposte alle pareti della scale della cripta.

         Negli anni successivi volle abbellire la chiesa aggiungendo simulacri dei santi più venerati,come santa Teresa  e Sant’Isidoro due sculture in legno fatte ad Ortisei dallo scultore Pancheri. Il 24 aprile notifico a tutta la popolazione, ma in particolare agli obrieri il nuovo regolamento. A parte il periodo molto solenne al quale ci si strava avviando, alcune cose non dovevano essere state fatte dagli interessati con disciplina e fede consoni alla carica.

         Ma il progetto al quale teneva di più era l’incoronazione di Santa Greca. Il 1928, quello precedente e quello successivo furono per il nostro paese anni di importanza memorabile. Raccontare tutto per filo e per segno, anche se di innegabile importanza sarebbe troppo lungo, una sintesi spero esauriente darà l’idea di quanto accaduto.

         Alla fine della festa di settembre del 1927, il parroco scrisse sul “Liber Chronicus”: … “trattai a S.E. Rev.ma Mons. Ernesto M. Piovella dell’idea, da tempo accarezzata, d’incoronarla con tutta solennità nella festa di settembre del venturo anno”.

         Don Maxia informò subito la popolazione che, avuta risposta positiva dall’arcivescovo, nel 1928, si sarebbe tenuta la cerimonia dell’Incoronazione di Santa Greca.

         Sul bollettino L’Aurora di Decimo” chiese aiuto sia economico che morale e materiale ai fedeli di tutta la zona. La cosa fu accolta con molto entusiasmo, non solo a Decimo e nei paesi limitrofi ma soprattutto a Cagliari. E’ chiaro che avrebbe avuto bisogno di aiuto, non poteva fare tutto da solo.

         L’orafo Francesco Palladino cagliaritano, fece un gioiello molto apprezzato, La Corona fu esposta in città, nella via Manno nel negozio di Castangia, si valuta che mezza Cagliari andò ad ammirarla. Era costata 7500 Lire. Parte della somma fu offerta dai fedeli, parte dalla vendita di pegni       d’oro della Santa che furono venduti in Decimo e San sperate, previa permesso della Santa Sede. Tutto quanto già programmato e proposto per don Maxia non erano sufficienti. Propose all’arcivescovo di fare una ricognizione delle Reliquie della Santa. Come capita in questi casi fu raccomandata la massima prudenza e discrezione. L’Arcivescovo chiese che fosse fatta una ricognizione, praticamente segreta. Il compito fu affidato al Signor Raffaele Mantega, presidente degli uomini cattolici e provetto muratore, il 13 gennaio 1928.   Nella descrizione fatta da Don Maxia di questa ricognizione risultano evidenti le precauzioni, la cura che il reverendo ed il Signor Mantega impegnarono. Dai documenti si presume che fosse la prima ricognizione fatta dal 20 maggio 1789, fu trovata la pergamena autenticata dall’Arcivescovo Melano ma non la prima bolla del 1633 quella del Vescovo Machin. La ricognizione ufficiale e pubblica fu fissata per il 26 settembre 1928.

         In attesa di tale occasione il sacerdote costituì un’associazione di giovinette che avevano il compito di reperire somme per l’acquisto di due cassette, una di noce e una d’argento per custodire le reliquie che sarebbero poi state riposte in un’urna di bronzo dorato. Alla fine della festa del primo maggio decise di costruire accano alla chiesa il campanile, modificando la facciata. Fu demolito il campanile a vela e costruito un timpano, per tutti questi lavori furono impiegati quattro mesi, a fine agosto tutto pronto.   Alcune altre modifiche, come l’ampliamento della finestra che dava sulla facciata, il collocamento di una croce sul timpano, come pure la croce alla sommità del campanile diedero alla chiesa l’aspetto che Don Maxia desiderava. Vedremo, negli anni futuri, che le modifiche non erano ancora finite per dare alla chiesa un’aspetto austero e consono alla Santa che si venerava e non più l’aspetto di chiesa di campagna. A perenne ricordo di questi avvenimenti, sulla facciata ed all’ingresso della chiesa vennero poste due lapidi.

         Dopo aver preparato spiritualmente la popolazione il 26 settembre 1928 ci fu la ricognizione pubblica della reliquia, di fronte a tutte le autorità del paese e alla presenza dell’arcivescovo, che arrivato alle cinque pomeridiane fece aprire i contenitori delle reliquie . Queste deposte in un vassoio dal reverendo Lai coadiuvato da Signor Mantega, furono portate in chiesa fra la commozione di tutti. Ci fu un silenzio religioso e di “affettuosa riverenza”. Il vescovo fece accendere due candele e leggere al teologo Dodero la pergamena trovata nel sarcofago, fu redatto un verbale e classificate le ossa.

         In questa occasione l’atteggiamento di Don Maxia fu tra i più devoti, non volle privarsi neanche dei residui del sarcofago, come il terriccio ed in particolare non fu d’accordo con il medico, dottor Satta, il quale asseriva che il malleolo sarebbe appartenuto a persona di sesso maschile per via della sua robustezza e quindi non a santa Greca. Fecce porre tutto nel fondo del loculo “disobbedendo” al S.E.  l’Arcivescovo. Così annota nel libro storico: “S.E. Monsignor Arcivescovo mi ordinò di bruciarla, ma pensando che questa terra è un tesoro perché frammista ad ossa e sostanze della gloriosa Santa, la conservai.” Per l’osso giudicato maschile, così si esprime:”Il giudizio non mi sembra esatto, e col tempo sarebbe necessario un esame più accurato, perché deve essere di Santa Greca”.

Fu ancora lui il protagonista quando ripose le reliquie nei contenitori approntati , venne fatta firmare la pergamena all’Arcivescovo su sua preghiera e fatte esporre all’adorazione dei fedeli nella chiesa.

         Il 30 settembre, già alle quattro del mattino si incominciarono a celebrare le messe. Alle dieci arrivò l’arcivescovo il quale dovette essere scortato dal maresciallo e dai carabinieri, per via della folla presente.

         La processione si mosse per portare il simulacro della Santa nel grande campo accanto all’ex zuccherificio, Don Maxia seguiva con la bellissima corona posta su un cuscino di velluto. La cerimonia ebbe luogo fra gli evviva, applausi e l’accompagnamento della banda musicale.Lo stesso don Maxia valutò la presenza di fedeli in un numero di 20000.

Nel 1929 si inaugurò il nuovo cocchio. Quello vecchio, ultracentenario, non permetteva la visuale della Santa con la corona, era basso. Quando furono reperiti i fondi, il cocchio fu ordinato alla ditta del Cavalier Anzellotti di Napoli. Il nuovo Trono è in legno scolpito tutto rivestito di oro zecchino, un vero capolavoro, ammirato da tutti. Questo bellissimo trono fu inaugurato nella festa di S. Greca del 1° Maggio con grande soddisfazione del popolo decimese e dei numerosi forestieri”.

         Il 1933, Anno Santo, fu per Don Maxia pieno di avvenimenti contradditori. Era sempre stata sua intenzione conferire alla chiesa di santa Greca un’ aspetto consono a quanto la figura della Santa meritava, l’aspetto rurale non gli doveva essere gradevole. Cinque anni prima modificò il campanile,  il loggiato ora gli doveva ricordare una chiesa di campagna.        In quel periodo la chiesa era fuori dal centro abitato e accanto ai fiumi  che vi scorrevano. Il 20 gennaio 1934 ci sarebbe stata la visita pastorale dell’Arcivescovo. Don Maxia adducendo una serie di motivazioni fece demolire il loggiato, informando che la Curia era d’accordo. Dai documenti si evince che le cose siano andate in modo diverso. Il parroco non aveva alcuna autorizzazione, ne da parte dell’Arcivescovo, tanto meno dalla sovrintendenza alle belle arti. Le polemiche si susseguirono, ci fu anche      un’ intervento del Taramelli. Don Maxia, alla fine, fu difeso dalla curia ma di fatto distrusse un’opera d’arte che per quanto non aragonese ne bizantina, come qualcuno asserì, era sicuramente una bella opera per i suoi marmi e colonne, ebbe anche uno scontro con il Taramelli che fu molto amareggiato per quanto accaduto.

         Il fatto comunque più grave che costernò il parroco, il paese e i fedeli fu il furto della corona della Santa, quella del 1928 del Palladino che destò tanta curiosità e meraviglia in tutta l’Isola.

         La notte tra il 12 e 13 gennaio 1940 con uno scasso nella chiesa patronale di Sant’Antonio Abate furono rubate “Is prendas” di Santa Greca con la Corona. Le indagini, veloci ma poco rigorose portarono all’arresto di 14 persone, 10 delle quali furono rilasciate quasi subito, ma gli inquirenti della questura di Cagliari sospettarono del parroco. Secondo loro le serrature erano state aperte con le chiavi e tutta la confusione creata era frutto di una simulazione. Don Maxia rischiò di finire in prigione, ma ciò non avvenne,     L’uomo si sentì distrutto e umiliato anche perché alcune lettere anonime lo accusavano senza remore. Alla celebrazione del processo Don Maxia fu sentito come testimone, quattro persone furono condannate, i gioielli e la corona mai trovati. Il Parroco da questo colpo non si riprese più, non fu aiutato neanche dai suoi superiori e un’ombra di sospetto lo perseguitò, fu trasferito a Quartucciu dove morì poco tempo dopo.

         La figura umana e di devoto di Santa Greca che si evidenziano nel Reverendo Don Maxia è notevole. Sicuramente una personalità come poche, teso a realizzare una serie di progetti e idee che se pure delle volte realizzate in modo contraddittorio tendevano sempre a far risaltare la figura della nostra Martire, la Beata Vergine e Martire Santa Greca.