La vita a Decimomannu

Storia del Cimitero Dal questionario del 1777, compilato dal sacerdote Salvatore Martis e inviato l’anno successivo al Vicario Capitolare Monsignor Corongiu, si apprende che a Decimomannu i morti si seppellivano nella parrocchiale e nel cimitero intitolato a san Vito.

 Le inumazioni nella parrocchiale erano solo per coloro che facendo testamento avevano lasciato i beni, o una cospicua parte di essi, alla chiesa. Negli altri casi la sepoltura avveniva nell’attiguo cortile della chiesa o come detto nel cimitero di san Vito, che aveva annesso la chiesa di santa Maria. Nella parrocchiale c’erano cinque sepolture, tre per i bambini e due per gli adulti. Ciò doveva avvenire non rompendo il pavimento ma sollevando la lastra tombale. Le salme potevano essere riesumate solo dopo un certo periodo ed il pavimento poteva essere rotto con l’autorizzazione del Vicario Generale. Si può dunque immaginare i problemi che si creavano ogni volta che avveniva quest’operazione. L’Azienda di santa Greca fu obbligata dall’arcivescovo a tenere la cura dei cimiteri, spendendo cifre importanti, come risulta dagli atti. Nel 1822 Monsignor Navoni ordinava di chiudere e occupare il piazzale della chiesa parrocchiale a spese dell’Azienda di santa Greca, non essendovi posti per le sepolture nel campo di san Vito. Successivamente, per motivi igienici, le sepolture nelle chiese e nelle zone limitrofe, furono proibite dalle leggi nazionali, i cimiteri dovevano essere posti ad una certa distanza dall’abitato e mantenendo, come oggi, una distanza di rispetto. La cosa non fu risolta rapidamente, tanto che molti centri abitati si adeguarono a questa norma in ritardo. Il fatto era dovuto anche alle condizioni economiche dei vari paesi e delle loro amministrazioni.

La creazione del cimitero a Decimomannu fu molto difficile. Dagli atti dell’Archivio dello Stato risulta che il 1° febbraio 1836 il sindaco Luigi Serra convocò il consiglio comunale, a questo si aggiunsero i probiviri del ministro della giustizia, il parroco e il medico della comunità. L’ordine del giorno era; la situazione del cimitero, in seguito anche a quanto richiesto dall’Intendenza Generale che invitava i comuni ad istituire i cimiteri. Il problema fu discusso, venne localizzato un sito a mezzo miglio dal paese, detto “de santu Nicola”. Questa zona fu ritenuta idonea, anche perché chiusa da una siepe di fico d’india ed in una zona ventosa che non avrebbe convogliato i miasmi verso l’abitato.

 Il sito era di proprietà della parrocchia ed aveva un valore di 15 scudi sardi, il pagamento sarebbe avvenuto in un anno. La zona fu fatta periziare da un muratore (Antonio Fenza) allo scopo di recintarlo con un muro in mattoni crudi, questo preventivò la spesa in 255 lire. I lavori sarebbero stati eseguiti con la fattiva collaborazione della popolazione che avrebbe provveduto allo scavo delle fondazioni ed all’aiuto degli assistenti muratori, come pure gli agricoltori e contadini.

 Loro avrebbero innalzato i muri, trasportato i materiali e costruito i “ladiri”. Il consiglio fu d’accordo con queste scelte ed approvò all’unanimità. Il 2 dicembre 1846, quasi undici anni dopo, il cimitero a Decimomannu non esisteva ancora. Le condizioni erano circa quelle di 80 anni prima, ci si doveva servire del cimitero annesso alla parrocchiale o di quello di san Vito. L’Azienda di santa Greca amministrava ancora le sepolture, ma gli spazi andavano esaurendosi. Il Comune propose all’Azienda di recintare un cortile di sua proprietà e con qualche fondo di risparmio si sarebbe potuto erigere il “campo santo”. La giunta comunale di Decimomannu il 10 aprile 1847 decideva di adibire a cimitero un sito posto accanto alla chiesa di santa Greca. Questo sito era recintato ed era detenuto dall’amministrazione dell’Azienda stessa, anche se era di proprietà, del comune.

 L’area sarebbe rimasta dell’azienda di santa Greca purché nel frattempo fosse stato adattato a cimitero il campo di san Vito, poiché aveva accanto la chiesa di santa Maria. Le cose continuavano a dilungarsi, tanto che il sindaco Salvatore Collu, nel consiglio comunale del 29 settembre 1847 ricordava che il cimitero non era ancora stato costruito, nonostante la delibera del 10 aprile dello stesso anno. Nel 1854 il cimitero fu costruito, le critiche e le discussioni non si placcarono. In molti consigli comunali successivi si parlò ancora del “campo santo”, le condizioni clerico politiche andavano cambiando. Le polemiche fra il parroco, il provicario, il becchino e il sindaco creavano una situazione che assumeva anche aspetti ilari. Il provicario nel nome del Rituale Romano e delle norme in esso contenute, andava ingiungendo e portava a conoscenza del sindaco, le modalità delle sepolture. La profondità delle fosse e la disposizione di queste, la distanza fra loro, anche allo scopo di risparmiare spazio. Ancora, la separazione tra maschi, femmine , bambini battezzati e non. Infine, per risparmiare fatica, individuare uno spazio per le sepolture estive quando il terreno diventa troppo duro e scavare era troppo faticoso. Il sindaco sintetizzava, in un intervento del 7 novembre 1855:

“Io non entro a scrutinare il motivo delle separazioni tra uomini e donne, tra bimbi e grandi; però rifletto, che ogni cadavere giunto al Campo Santo è polvere, né vado ad indagare perché si vogliono seppellire alcuni in luogo non sacro, quando tutti siamo uomini, e scernere i giusti dagli ingiusti, gli eletti dai reprobi è riservato al solo Iddio.” Nel 1865 la Confraternita si rese protagonista di una controversia con l’Amministrazione Comunale. Pare infatti che il giorno 21 Settembre nessuno dei confratelli si fosse presentato ad un funerale per portare, secondo la regola, la bara al Camposanto, evidentemente tra di essi regnava già qualche malcontento dovuto a questo gravoso compito.

 Al ché il Sindaco; descritto dal Provicario don Andrea Collu come “uomo di testa leggiera, ed esaltato, nemico accerrimo di ogni instituzione religiosa”, con lettera del 23 Settembre pretese di conoscere il Regolamento della Confraternita, cosa che gli fu, naturalmente, negata. Egli allora, con altra lettera del 1° Ottobre, proibì la questua settimanale che, scrive ancora il Provicario, da tempo immemorabile suol farsi dalla Confraternita a favore della Cappella e che il Sindaco non può vietare nel rispetto della Circolare Ministeriale del 1855. Lo stesso 1° Ottobre i confratelli, povera gente per lo più che per intervenire ai funerali doveva perdere delle giornate di lavoro a scapito della famiglia, si riunirono nell’Oratorio, discussero e votarono le seguenti proposte da farsi al Municipio.

I confratelli si impegnavano a partecipare a tutti i funerali in numero almeno di dodici ma in cambio chiedevano: 1) Di essere esentati dal servizio della Guardia Nazionale, servizio di vigilanza nel paese ma più nelle campagne che andava a tutto vantaggio dei ricchi proprietari terrieri. 2) Di essere esentati dal dare alloggio obbligatorio alle truppe di passaggio. 3) Di essere esentati dalle Comandate, vale a dire da quei lavori e servizi che ogni cittadino era tenuto ad effettuare, senza compenso, a beneficio del paese e della comunità. 4) Che il Municipio tenesse pulito e in ordine il Camposanto dove non si poteva entrare senza stracciarsi e rovinarsi gli abiti. 5) Che il Municipio rendesse più agibile la strada che portava al Camposanto. 6) Che si provvedesse ad alleggerire le bare. Il Camposanto stava allora in aperta campagna, nella zona S. Vito, e più precisamente nell’area dell’ex Guardia Medica - palazzine delle Case Minime - Centrale Telecom. La strada per arrivarci era l’attuale via Stazione. Il centro abitato finiva all’incirca all’altezza del Bar Nilo e della casa Diana, la SS 130 Iglesiente (la nostra via Nazionale) e la Ferrovia erano ancora in fase di progetto. La Ferrovia sarà realizzata nei primi anni dopo il 1870. Non sappiamo come si concluse la controversia ma riteniamo in modo soddisfacente per entrambe le parti visto che i confratelli hanno continuato a svolgere il loro servizio nei funerali fino all’avvento, intorno agli anni ’60 del 1900, delle Agenzie di Pompe Funebri. Nei funerali veniva portato dai confratelli il Cristo che si porta oggi nelle processioni ricoperto però, per l’occasione, da un drappo nero in segno di lutto. Venti anni dopo la costruzione, o se vogliamo l’adattamento del cimitero di san Vito, faceva ancora discutere e si sperava di decidere. Il 4 dicembre 1874, atto 30, fu convocato un consiglio comunale straordinario dal prefetto, per “decidere” se fosse il caso di mantenere il cimitero dove era o di trasferirlo. Il consiglio comunale sentito il sindaco, fece notare che quel cimitero poteva essere ancora usato efficientemente. Era a distanza di legge dalle abitazioni, anche se ai limiti, la camera mortuaria seppure vecchia era ancora solida. La superficie per le sepolture capiente per accogliere salme per alcuni anni. Il consiglio non era in grado di richiedere un nuovo cimitero perché non c’erano fondi per la costruzione . Il cimitero di san Vito fu il penultimo cimitero di Decimomannu, prima di quello attuale che si trova nella strada per Assemini sulla vecchia SS.130. Il Calvario del Cimitero di Decimomannu La tipografia San Giuseppe di Cagliari, stampa un libro del reverendo Raimondo Maxia, parroco di Decimomannu dal 1922 al 1940, dal titolo “Vita di santa Greca V. e M.”. Esso riporta una serie di notizie che si collegano all’agiografia della Martire e a fatti che riguardano il culto della Santa , notizie paesane collegate per qualche motivo alla figura di santa Greca. Alla pagina 77 Don Maxia riporta che il “calvario”, era cosi detta una croce santa sostenuta da una colonna sormontata da un capitello corinzio antico di marmo bianco, che stava nella piazza di santa Greca, nel 1912 fu distrutto per farne uno nuovo.

 La guerra del 1914-1918 fece dimenticare il progetto. Nel 1918 il commissario Castiglia ordinò che la colonna fosse trasportata al nuovo cimitero e la fece collocare al centro di questo.

Lo Spano nel suo libro da una descrizione del “calvario” precisa, che questo particolare monumento si pone innanzi alle chiese rurali, come allora era considerata la chiesa di Santa Greca. Questo monumento è posto nel cimitero del nostro paese in posizione quasi baricentrica e limitrofa al viale di accesso. Chiunque visiti il cimitero, almeno per un attimo, si sofferma a guardarlo e a chiedersi cosa rappresenti. Ma soprattutto, per i segni della sua architettura e per alcuni elementi che lo caratterizzano (colonna, capitelli), qual è la sua storia. Ritengo opportuno riportare i riferimenti bibliografici; partire, cioè, da quanto è stato scritto nel tempo su questo monumento e fare solamente dopo alcune considerazioni. Tali scritti evidenziano con grande chiarezza alcuni elementi importanti di questo monumento: l'originaria ubicazione in piazza S. Greca; la demolizione nel 1912 per farne uno nuovo che, però, non venne mai realizzato; il trasporto e la ricomposizione, nel 1918, di alcune parti nell'attuale cimitero dove ancora esiste. In tale circostanza furono, presumibilmente, realizzate alcune difformità rispetto alla originaria impostazione. In particolare; sono presenti, attualmente, tre capitelli (uno, rovesciato e di ordine ionico, alla base della colonna; un altro corinzio sopra la colonna medesima e un terzo ionico sovrapposto al secondo). Tale impostazione è difficilmente riconducibile alla situazione originaria sia per il numero dei capitelli, appartenenti, tra l'altro, a ordini architettonici diversi, e sia per la loro ubicazione in rapporto alla colonna. G. Spano nella sua descrizione cita solamente “...una colonna sormontata da un capitello antico corinzio …”. E' da ritenersi, pertanto, che i due capitelli ionici facciano parte di una fantasiosa composizione eseguita durante la ricostruzione nel 1918; don Maxia riferisce della sostituzione della croce in ferro con una di marmo.

 Quella attuale è in ferro; si presume pertanto, che siano andate perse quella originaria e la seconda; sempre nella descrizione di G. Spano si parla di pietre di antichi edifici , rocchi di colonne e di altri massi lavorati dai quali “ sorge una colonna “; il calvario si ergeva, quindi, su un basamento composito andato disperso durante la demolizione dalla piazza di S. Greca. Quello attuale, gradinato e realizzato in trachite grigia a vista, è da attribuirsi, probabilmente, alla fase di ricostruzione nel cimitero. Durante una ricerca effettuata nell'archivio storico comunale , ho ritrovato una deliberazione di Consiglio, del 30-11-1893, avente come oggetto: “Ristauro del piedistallo della croce esistente nella piazza Santa Greca”. Il sindaco, Diana don Battista, espone la necessità di un intervento immediato in quanto “… il calvario o piedistallo della croce esistente nella piazza Santa Greca è talmente guasto che da un giorno all'altro minaccia di crollare la colonna che sta in cima colla croce in ferro, deturpando così l'aspetto di quell'opera, …..” E il consiglio “ … ad unanimità delibera di ristaurare il piedistallo della croce predetta giusto il calcolo fatto dal muratore Matta Salomone nella preventiva spesa di lire 51, …” Alla deliberazione viene allegato il relativo preventivo firmato dal muratore e così articolato: pietre occorrenti per la gradinata £ 12,00, calce e sabbia £ 19,00, mano d'opera £ 20,00. Si evince, pertanto, la rilevanza del basamento nel contesto del monumento; tanto che il Sindaco nella sua esposizione parla anche di possibile “… danno alle persone che vanno a sedersi negli scalini del piedistallo”. Quindi, l'ampiezza della scalinata era tale da consentirne l'utilizzo anche come sedili. E' un vero peccato che nella veduta assonometria della chiesa di S. Greca, ad opera di F. Nissardi e allegata all'opuscolo dello Spano del 1876, siano indicate chiaramente le “due fontane” poste nella “vasta piazza” e non venga, invece, riprodotto il calvario; evidentemente la distanza dello stesso dalla “lolla” era tale da comportare o un disegno di maggiori dimensioni, che mal si adattava a quelle dell'opuscolo citato, o altrimenti un disegno in scala più piccola che, però, avrebbe sacrificato la chiarezza nella rappresentazione della chiesa. In assenza di ulteriori notizie descrittive sul monumento e, soprattutto, in mancanza di una foto, che certamente esiste, l'unico documento al quale far riferimento per una ipotetica ricomposizione complessiva dell'opera rimane l'immagine su disegno della statua di S. Greca riprodotta nell'opuscolo dello Spano. Nello sfondo, in basso a sinistra, è raffigurato, in modo sintetico ma efficace, il prospetto nord della chiesa (lato via Dritta) così come si presentava in quel tempo, mentre a destra è presente, in forma semplicemente abbozzata ma chiarissima, un calvario simbolicamente posto alla fine di un percorso. La colonna, sormontata da una croce, è posizionata sulla sommità di un imponente basamento o “piedistallo” gradinato, a forma regolare, delimitato nei quattro vertici da altrettanti rocchi di colonne di grosso diametro. Altro particolare interessante è quello della croce; non la classica croce latina ma una croce di Malta a otto punte.

 Occorre precisare che tale immagine di S. Greca fa parte di un antico opuscolo che lo Spano utilizza come parte seconda della sua opera dove a pag. 23 così scrive: “Ho creduto necessario fare questa ristampa, in quanto che, il libro di cui ho visto un solo esemplare, senza data d'anno e di luogo, io credo molto raro”. La descrizione, fatta da G. Spano, non è molto precisa per individuare la posizione esatta del monumento. Da una lettura dell'intera pagina sembrerebbe di capire che il calvario fosse edificato in posizione prospiciente, “innanzi”, la “lolla” e a una distanza tale da consentire, in occasione della festa, la realizzazione di un pergolato in frasche, “… per voto fatto dai giovani scapoli (bagadius) che con carri trasportano la legna e le frasche dal salto. A pochi metri innanzi a questa specie di portico vi è fabbricato un calvario, …”. Da un esame di una foto d'epoca successiva, si riscontra che a poca distanza dalla “lolla” antica sono presenti i resti di un manufatto, delimitanti una aiuola con due pini, e consistenti in blocchi con al centro un rocchio di colonna. L'ubicazione di tale manufatto è certamente frontale alla “lolla” ma sembrerebbe ricadente sul prolungamento del muro lato sud (via Nazionale). Questo, probabilmente, perché il calvario non costituisse intralcio all'ingresso nella chiesa. Si pone chiaramente il problema di cosa fare. Lasciare il monumento dove oggi si trova, al centro del cimitero, oppure: riportarlo dove originariamente era stato realizzato, in piazza S. Greca, previo studio formale dell'opera in modo tale che rispecchi, per quanto possibile, i segni dell'architettura originaria. La prima soluzione è quella che ha garantito la conservazione del monumento sino ad oggi.

 La seconda è certamente meno prudente della prima ma, sicuramente, più affascinante perché restituisce al monumento, non solamente, l'ubicazione originaria ma, soprattutto, il suo significato. G. Spano, infatti, così scrive: “Per l'ordinario questo simbolo cristiano si trova innanzi le chiese rurali”.

Il Calvario visto, quindi, come un simbolo e, pertanto, strettamente unito alla chiesa; una sua estensione sul sagrato. Un elemento simbolico e architettonico di una antica e bellissima chiesa, purtroppo non sufficientemente studiata, che conserva ancora delle parti importantissime sul piano storico- artistico. Tra le sepolture nel nuovo cimitero, quello attuale, si ricordano gli avieri dell’aeroporto di Decimomannu morti durante il bombardamento del 31 marzo 1943. Diciotto salme che verranno tumulate nel cimitero comunale, dopo essere state tenute nella chiesa di santa Greca che in quella triste occasione venne adibita a camera mortuaria. Negli anni successivi le salme furono riesumate e trasferite al sacrario militare di Cagliari. Nel 1957 il sindaco informava il parroco del trasferimento di 22 cassette contenenti i resti dei militari periti nei bombardamenti, lo pregava di essere presente all’atto del ritiro di queste per impartirne la benedizione. Dopo essere stato ridimensionato con la recinzione, costruzione dell’ingresso e di un altare dove si impartiscono le benedizioni alle salme. Il cimitero è stato ampliato, dotato di altre sepolture a castello. Da poco tempo si è proceduto all’edificazione della cappella affinché si rendano più agevoli l’ufficio funebre e il saluto da parte dei convenuti, ai parenti dei defunti.