Cagliari
e l’acqua per usi potabili e civili. Tentativo di recupero dell’acquedotto
romano ( Gemiliano Deidda XVIII secolo)* L’approvvigionamento idrico di Cagliari si ripresentava ogni
qualvolta c’erano degli incrementi demografici e commerciali, questo problema
fu affrontato da sempre; fenici, punici, romani, spagnoli e piemontesi, ma solo
i romani risolsero seriamente, per
molti secoli, l’approvvigionamento idrico della città. La caduta dell’ impero
fece mancare la manutenzione dell’ acquedotto, per cui molte sue parti divennero obsolete o furono
distrutte per usarne i materiali. Fu così che per molti secoli ancora, Cagliari
si ritrovò senza un sicuro e costante approvvigionamento idrico, per non
parlare della qualità dell’acqua che si usava, assai scadente. Durante i
periodi; giudicale, pisano e spagnolo, il problema fu risolto con pozzi e
cisterne, solo nel XVI secolo ci fu l’ intenzione di ripristinare il vecchio acquedotto
e ne fu affidato lo studio e progettazione all’ ingegnere del Vaticano G. B.
Mola, ma rimase tutto sulla carta, tanto che nel XVIII secolo, in pieno regime
sabaudo, essendo ministro Bogino e viceré il conte Tana, venne incaricato il
dottor Gemiliano Deidda di compiere uno
studio tendente a riattivare il vecchio acquedotto romano. A Cagliari, nel quartiere di Stampace, nella prima metà
del XVIII secolo, si susseguivano i ritrovamenti di testimonianze e vestigia
romane, specialmente materiali inerenti il percorso cittadino dell’acquedotto.
Basandosi su questi ritrovamenti il dottor Deidda scrisse una relazione, in
spagnolo, datata novembre 1761 e corredata con un disegno. In quella relazione,
fatta conoscere al viceré e al ministro Bogino, scrisse che avendo visto l’anno
precedente, fra Sassari e Porto Torres i ruderi dell’antico acquedotto romano
di Torres, ne dedusse che anche Cagliari, a maggior ragione essendo la capitale
dell’Isola, doveva aver avuto un grande acquedotto. Con tale convinzione il
dottor Gemiliano Deidda iniziò a raccogliere informazioni sui ritrovamenti
dell’antico acquedotto “calaritano”. Ma
le conoscenze non erano buone, non era
noto il percorso che seguiva l’impianto idrico, ancora meno quale parte
potesse essere recuperata e quanto sarebbe costato ripristinare e rendere
funzionale il vecchio acquedotto. La città soffre moltissimo per la mancanza di acqua, dal
punto di vista igienico sanitario, come dimostrano i dispacci viceregi diretti
a Torino. Nel febbraio 1762 il conte Tana viceré, scriveva al Bogino,
informandolo che lasciava l’impresa del ripristino dell’acquedotto romano di
Cagliari ai suoi successori : “li quali promoveranno
un oggetto di massima rilevanza in una città, in cui l’acqua si compra, e non è
buona trattone quella delle cisterne troppo limitata, di cui la maggior parte
della popolazione, che stà in case terrene, n’è priva; onde accade che
patischino la sete, tralascino di lavarsi per economia, ò per necessità, da cui
si producono le malattie di cert’ espulsioni cutanee, ed anche delle altre
interne”. Al Deidda fu data
la notizia che vicino a Cagliari, nella zona di Fangariu, dei muratori mentre
fabbricavano un ponte, trovarono un condotto smaltato che continuava per Elmas, “Deximu”
e Siliqua. Su questo episodio, un anno dopo, si basa la relazione del Deidda.
Nel gennaio 1763, il viceré Alfieri scrive al ministro Bogino per informarlo
che è il caso di interrompere i lavori di scavo, in vista del riutilizzo
dell’impianto , perché non si è ancora calcolato quanto si spederà per la
ricostruzione delle parti distrutte della condotta. Il viceré chiarisce che gli
arrendatori del ponte di Fangario e in altri siti dove passa il canale, hanno
usato materiali per cui è necessario ripararlo: “Che si dice vi possa essere la stesa di
cinque miglia da ripararsi, nel qual caso la spesa sarebbe eccessiva”. Al
Deidda, per dimostrare che si tratta proprio dell’acquedotto romano, interessa
conoscere se un condotto simile a quello extraurbano sia stato trovato anche in
città. Nel
borgo di Stampace dove anticamente si estendeva la maggior parte della città,
scrive il Deidda, in molte case e cortili ( y
correlas) furono rinvenuti, anche superficialmente dei condotti molto
simili a quelli fuori città. Altre testimonianze erano i condotti scavati nella
roccia, pozzetti e sfiatatoi. Dentro il condotto si trovò della sabbia molto
fina, simile alla sabbia di fiume ( como
y la arena de rio)segno di una decantazione dovuta a notevole passaggio di
acqua. Altri ritrovamenti, davano fiducia al Deidda; nel 1738 in un terreno
vicino a San Bernardo si scoprì uno sfiatatoio che, inizialmente fu scambiato
per un pozzo. Quando lo si dovette pulire
si accorsero che questo immetteva in un condotto. Successivamente lo
sfiatatoio fu ricoperto con la terra per cui al momento di scrivere la
relazione di quella parte di impianto si era persa ogni traccia e non era
visibile nel terreno. Il
Deidda pensò che tutti questi ritrovamenti fossero sufficienti a convincere il
viceré e il ministro a dare inizio ai lavori preparatori al ripristino
dell’antico acquedotto. Allo scopo trovò dei testimoni concordi su questi
ritrovamenti e stende un promemoria, per il viceré, che senza indugio gli
affida l’incarico e la direzione degli scavi onde ritrovare l’acquedotto in
tutta la sua completezza, chiedendogli comunque di essere sempre informato
sull’avanzamento dei lavori. I lavori ebbero inizio il 14 settembre 1761
impegnando nella fase iniziale cinque uomini che sarebbero stati retribuiti con
il finanziamento di 25 scudi concesso dalla città di Cagliari, si sperava che
l’antico acquedotto potesse essere ritrovato e riutilizzato. Il dottor Deidda,
molto precisamente e diligentemente, provvide a stendere un disegno del
condotto ritrovato, con l’indicazione dei pozzetti. Ma in un primo tempo il
Deidda seguì il percorso verso la città, convinto che questo si ricollegasse ad
una grossa cisterna romana. Era
tradizionalmente noto che una cisterna si trovasse vicino al mare nei pressi
della vecchia chiesa di Sant’ Agostino, dove nel 1710 venne trovato un tubo
metallico pesante alcuni quintali, ciò fece pensare che ci fosse un notevole
impianto idraulico, poco lontano venne rinvenuto un fabbricato smaltato che
somigliava a un bacino di decantazione. Il Deidda sembrava conoscere molto bene
il percorso urbano dell’acquedotto romano, ma i veri problemi nacquero quando
dopo averlo individuato molto bene doveva, necessariamente individuare e
ricostruire il percorso extra urbano. Dedicò anche molto interesse ai
ritrovamenti della Cagliari romana che gli fecero capire la sistemazione
urbanistica di Stampace i cui edifici dovevano essere approvvigionati
direttamente dall’acquedotto. Gemiliano Deidda ricorda che nel 1718 sul terreno,
dove ha fatto scavare uno degli sfiatatoi, fu trovata una casa romana con un
ampio salone pavimentato con un mosaico che rappresentava un gigante con un
pappagallo sul braccio e tutt’attorno altre figure di animali e piante. Il
mosaico, per ordine dei governanti spagnoli, fu smontato e spedito in spagna,
dove non arrivò mai a causa di un naufragio. Comunque il Dottor Deidda fu molto
costante nelle sue ricerche e ritrovò il famoso mosaico dell’Orfeo nel
quartiere di Stampace. Purtroppo anche questo spedito in Piemonte per ordine
del Bogino. Negli
ultimi mesi del 1761 i lavori di scavo procedevano speditamente, vennero
trovati alcuni sfiatatoi che, purtroppo, poiché passavano sotto le abitazioni
di Stampace, non si poterono aprire, i lavori avrebbero potuto creare dei
problemi alla popolazione. Il Deidda, di sua iniziativa, assume altri due
uomini e fa disporre le luci all’interno del condotto in modo da poter
continuare i lavori senza aprire gli sfiatatoi che erano in corrispondenza
delle case. La città di Cagliari concesse un altro finanziamento di cinquanta
scudi, così i lavori poterono proseguire. Al momento che il Deidda stende la
relazione, nel mese di novembre, i lavori si svolgono nella zona
dell’Annunziata. Qui lo studioso presume che accanto al convento ci sia uno
sfiatatoio in buono stato di conservazione, ma sin dal 1755 si ha notizia che
questo venisse usato dal convento, come latrina, comunque era già stato
individuato lo sfiatatoio successivo e concluse la relazione attribuendo la
costruzione del condotto e sfiatatoio ai romani. Tra
le altre ipotesi del Deidda una riguardò il periodo di costruzione del
condotto, che doveva essere antecedente il 720 d.C., che anche se molto grande
non poteva essere confuso con un passaggio sotterraneo, per cui per la
conformazione costruttiva doveva trattarsi di un acquedotto che probabilmente
rimase senz’acqua poiché interrotto a monte, forse dai Saraceni (sic). Seguendo
il percorso a ritroso si sarebbe dovuto trovare il punto d’interruzione.
Ritenne anche che fuori dal centro abitato l’impianto sia più facile da
individuare perché meglio conservato, quindi solo da pulire. Si vedrà però che
le cose non saranno così. Il
dottor Deidda nella sua qualità di esperto in idraulica, nello stesso periodo
del tentativo di recuperare l’acquedotto, ebbe l’incarico di controllare i vari
fiumi nei dintorni di Cagliari e poi anche nella zona di Oristano. Allo scopo
fecce la richiesta di una serie di strumenti e di libri che gli furono inviati
in maniera incompleta e non tempestivamente. Nel mentre il recupero
dell’acquedotto cagliaritano si presentava sempre più difficile. Mancavano i
finanziamenti e i finanziatori erano preoccupati per il costo troppo elevato
dei lavori. Comunque la classe politica e i governanti di Casa Sabauda non si
arresero, tra il 1762 e il 1763 i viceré, nelle varie occasioni comunicarono le
nuove scoperte al Bogino e si convinsero
che l’impresa poteva essere attuata, tuttavia era meglio avere una conoscenza
delle spese e dei vantaggi che ne sarebbero derivati. Pensarono di impegnare,
dal punto di vista finanziario la città di Cagliari, che era quella che dalla
realizzazione dell’opera avrebbe avuto più vantaggi. La
bravura, l’abnegazione nel lavoro, l’impegno del dottor Deidda nel perseguire
lo scopo della sua impresa non si rivelò foriera di successi. La conoscenza del
percorso cittadino e delle zone circostanti la città non bastò per andare
oltre, anche perché era convinto che la captazione della fonte fosse accanto a
Decimomannu. Invece, come indicato dall’architetto Giovanni Battista Mola nel
1647 (Domus Novas) e poi dal Fuos (Siliqua) e ancora dalla Piredda che
individuò il punto esatto di captazione in Villamassargia sul monte Ollastu. Il
finanziamento per l’acquedotto di Cagliari arriverà solo negli anni 60 del
1800, dopo aver abbandonato tutti i tentativi di recupero dell’antica condotta
romana progettati nel XIX secolo, grazie ai finanziamenti pubblici e ai
capitali privati. Sarà costituito l’invaso di Corongiu il primo grande lago
artificiale italiano per usi potabili. Dottor
Gemiliano Deidda, cagliaritano, medico, matematico autodidatta. Il maggior
esperto isolano, in quel periodo (1760 ca.), di idraulica. Come detto, dopo
essersi convinto, in seguito a studi, suffragati anche da prove, decide di
iniziare il recupero dell’acquedotto romano, abbandonato da oltre mille anni. Il dottor Deidda è impegnato in opere
idrauliche che servivano per la protezione di centri abitati, campagne e
quant’altro. Per questo scopo richiede quelli che chiamano ; “Istromenti Matematici” e che nonostante l’interessamento della Casa
Reale , tardano a pervenire: “Non hanno
ancor potuto mettersi in via gl’Istromenti Matematici, di cui ho messa in
aspettativa l’E.V.; A prima occasione però che si presenti in Nizza, vi si
faranno senz’altro passare”. Trascorrerà quasi un anno prima che gli
strumenti siano spediti da Nizza verso Cagliari. La nota degli strumenti[1],
ci fa comprendere quali difficoltà ci fossero a procurarsi quanto necessario.
Queste difficoltà portarono a dei ritardi che il Bogino giustificò con una
lettera del 1761 scritta a Cagliari: “ si
stanno facendo delle ricerche dell’istromenti matematici di cui abbisogna il Deidda,
il ritardo discende dal fatto che si stanno cercando i migliori”. Il mese
prima, sempre rivoltò al vicerè, il Bogino scriveva: “ Non lasciai di rendere informata la M.S. nel farle presenti le di lui
esigenze per riguardo agli Strumenti Matematici descritti nella nota rimessami;
e la me-medesima sendosi degnata di ordinare la compera, già vi sono date le
disposizioni per provederneli ed a misura che si potranno avere, gl’indirizzerò
all’E.V., sicchè gli vengano consegnati, sentendo essere difficile l’incontro
del semicerchio graduato, che in ogni caso si farà commissionare a Londra”.
Il
Deidda fece anche una richiesta di libri, quasi tutti di idraulica, che
comunque gli vennero donati dal sovrano. I testi richiesti risultano essere
nella biblioteca universitaria di Cagliari ma in edizioni successive a quelli
richiesti dal Deidda. Quindi quei testi dovrebbero essere i primi entrati
nell’Isola.[2] *Fonte:
Per una storia dell’acqua in Sardegna. A
cura di Manlio Brigaglia. Atti del III convegno di studi geografico-storici: La Sardegna nel mondo mediterraneo.
(Sassari-Porto Cervo- Bono, 10-14 aprile 1985). Università di Sassari, Facoltà
di Magistero, Istituto di Geografia/Dipartimento di Storia. Nuoro, Istituto
Superiore Etnografico, 1990, pp.195-205. [1] “Nota degli Stromenti Matematici fatti provvedere dalla M.S. per il Dr.
Deidda: Due aghi calamitati per la bussola, Cerchio graduato per la bussola,
Stucchio di detta bussola, Trepiede di bosco con due viti e scogli d’ottone,Mezzo
cerchio, Stucchio di Matematica, Tavoletta e trepiede, Plancetta con due scale,
Calamita e bussola, Catena con le oncie, Riga.” [2] Questa è la lista dei ”Libri, de quali S.M. ha ordinato la compera
da mandarsi poi a S.E. il Signor Viceré, affinché li rimetta in dono al Dr.
Gemiliano Deidda:Leggi e Fenomeni,
Regolazioni,ed usi delle acque correnti, di Bernardino Zendrini, 4°,
Venezia, 1741, per Pasquali; Della
natura de’ fiumi trattato fisico matematico, del Dr. Domenico Guglielmini,
4°, Bologna 1697, per il Pisani; Table
des Sines tangentes, et Secantes par un rayon del 10.000.000 parties, 8°, Barattieri, Architettura d’Acque. S’è
scritto a Livorno per la compera dei seguenti: Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque divise in tre
tomi, 4°, in Firenze, 1723, per gli Tartini e Franchi; Della misura dell’acque correnti, di D. Benedetto Castelli, Abate
di S. Benedetto Aloisù matematico di Papa Urbano VIII, in 4°, Bologna,1660, per
gli eredi del Dozza; Trattato della
direzione dei Fiumi di D. Famiano Michelini, 4°, Firenze 1664, nella
stamperia della Stetta; Istruzioni
pratiche per l’Ingegnere civile di Giuseppe Antonio Alberti Bolognese 4°,
Venezia 1748, per il Rescuti” |