VISITE PASTORALI A DECIMOMANNU

La prima visita pastorale documentata a Decimomannu, fu fatta dall’ arcivescovo Parragues nel Febbraio del 1561. Nel lungo percorso pastorale Decimomannu fu una delle prime a essere visitata dopo: Pirri Pauli (che fu la prima), Quartu, Maracalagonis, Sinnai, Settimo San Pietro, Sestu, Assemini, e Uta. Successivamente il corteo visitò Decimoputzu e Villasor in seguito il vescovo visitò le ville del Campidano e della Trexenta.

Le viste pastorali, pur essendo uno strumento conoscitivo molto importante e obbligatorie, erano andate in disuso nel periodo medievale. Il concilio Tridentino però, rese evidente questo strumento come premessa indispensabile per l’azione pastorale svolta dai vescovi e orientata a un controllo della disciplina religiosa dei fedeli e dei clericali e combatterne le depravazioni. I vescovi avevano l’obbligo di una visita annuale e in caso di difficoltà, legittimo impedimento, avrebbero dovuto nominare un loro delegato per compiere questi controlli annuali. Solo una buona conoscenza della diocesi avrebbe consentito al vescovo, di tenere un’ equa amministrazione e una duratura correzione delle storture morali.

Le visite nelle varie parrocchie seguivano una prassi consolidata, così fu anche per Decimo, l’ arcivescovo Parragues seguì un viatico che doveva essere il tema dominante del percorso pastorale.    “L’inquisizione” ; delle storture morali sia del clero sia del popolo, sul decoro degli edifici chiesastici, degli arredi e degli oggetti liturgici. L’inquisizione  visitale era indirizzata in modo particolare a identificare la presenza di dediti ad attività di magia e superstiziose[1] e   degli usurai[2],    considerato questo uno dei peccati assolutamente deplorevole e tra   i    più    abbietti di cui ci si potesse macchiare. Erano inquisiti anche coloro che intrattenessero  rapporti di coabitazione, sia del popolo sia del clero. Allo scopo di conoscere gli eventuali responsabili, anche a Decimo furono soggetti al controllo, sia laici sia clericali, messi in contrasto probatorio tra loro allo scopo di riferire i reciproci comportamenti. Specialmente i religiosi furono sottoposti a interrogatori[3] che   riguardavano quanto da loro operato, la conoscenza e applicazione della   dottrina cristiana con particolare riferimento alle norme sinodali dell’allora recente concilio di Trento, dovevano anche riferire sul comportamento dei fedeli, sulla moralità e del loro rispetto per i canoni ecclesiastici. Onde svolgere questo interrogatorio in modo schematico e preciso, fu studiato un formulario verbale[4] nel  quale figuravano tutti i dati anagrafici e le domande alle quali si doveva rispondere. A conclusione il formulario verbale doveva essere sottoscritto dai testimoni. Alcuno poteva evitare “l’inquisitio”. Pesanti pene erano previste per i laici che, se convocati, si rifiutassero di testimoniare, o se avessero testimoniato il falso o, ancora e fosse stato riconosciuto o si dichiarasse in stato peccaminoso. Le pene potevano consistere in ammende pecuniarie più o meno esose, in alcuni casi si poteva essere scomunicati o dover espiare la pena pubblicamente[5].

Dai verbali della visita pastorale del Febbraio 1561 di monsignor Parragues, si può sapere che gli edifici ecclesiastici erano usati in maniera non consona ai dettami  del concilio Tridentino. In particolare, a Decimomannu, dopo aver indagato si apprese che; durante la festa patronale di Sant’Antonio Abate, in chiesa, fu messa in scena un’ opera teatrale. Questo fatto fu considerato non decente e fu confermato da due testimoni che fecero conoscere anche il titolo della commedia, “Basinzello”. L’ intrattenimento era stato concordato tra gli attori e il parroco, Antioco Murgia, subito dopo la conclusione della messa. Dall’ interrogatorio si apprese anche che il prete aveva una figlia naturale.

Il documento del quale abbiamo scritto, svela gli aspetti del programma pastorale del vescovo Parragues, egli sottolinea una volontà normalizzatrice e moralizzatrice e un’ esortazione al clero, a tenere sotto controllo la vita spirituale dei parrocchiani. Questo compito prevedeva tra l’altro anche, l’esclusione dal sacramento del battesimo di quei padrini che non fossero a conoscenza delle principali preghiere cristiane; Pater Noster, Ave Maria, Credo, “Sallve y los manaments confessat suspecats mortalls”[6].

Dopo trenta anni Decimo fu nuovamente interessata da una visita pastorale, quella di monsignor Del Vall. Questa fu molto più importante della precedente per le novità, quasi rivoluzionarie che la curia propose, in maniera da rendere più partecipatala visita e rendendola più comprensibile e accessibile al popolo. Se non fosse stata fatta nel 1591 avremo pensato a un lavoro di “relazioni pubbliche” o di una campagna pubblicitaria dei nostri giorni.

In quel periodo il grado di istruzione era molto basso, come pure l’alfabetizzazione, quindi la comprensione di quanto avveniva assai scarsa. Pertanto l’arcivescovo Del Vall prese alcune iniziative, che poi sarebbero durate per molti secoli, per attirare i fedeli rendendoli partecipi e coscienti di quanto con la visita pastorale si volesse proporre. La visita pastorale fu preceduta da un “decreto d’indizione visitale” che fu recapitato sotto forma di lettera circolare e veniva resa nota al clero e al popolo di tutte quelle parrocchie incluse nell’itinerario pastorale. Ma quella che definiamo rivoluzione fu il fatto che i documenti erano redatti in sardo campidanese meridionale. Anche ai parrocchiani della chiesa di Sant’Antonio Abate di Decimomannu nell’imminenza della visita pastorale si rivolsero in Campidanese : “ … bolenduri torrai a fairi visita po essiri sa prima acabada, aichi po descarriu de sa conciecia nostra com [enti] pro su qui tocada a su beni comunu”.

A conclusione delle funzioni liturgiche programmate per l’accoglienza del seguito visitale e per volontà del vescovo, fu incaricato della lettura del decreto d’indizione visitale il teologo padre gesuita Baldassarre Sanna. Tutti i fedeli erano chiamati a parteciparvi: “A totus e callisiolat personis de su presenti logu aixi homin(is) [cumenti] feminas, a su cali ò a is calis is cosas infrascritas tocanta ò podinti[toccai in] callisiollat  modu, saludu de grazia in nostru Sennore Deus”.

Il documento di indizione era quindi finalizzato a rendere noto quanto indicato dai vescovi in materia di visite Pastorali e ripercorre sia nella sostanza, sia nella forma i canoni del Concilio tridentino.


[1] Maziners ho mazinas

[2] Usurers o usureras

[3] Interrogatorios

[4] Formulario: Donno (nome e cognome del testimone) de dita villa de (il nome della villa del testimone) testimonj citat giura, interrogatus que       digua veritat del que sabia y sera demandat.Interrogatus si sap que in dita vila sapia que hay matzineras ho maziners ho usurers ho usureras y que concubinats y fillos naturals … cappellano tenen dona publica. Et dixit que (seguono le dichiarazioni del testimone concernenti l’argomento delle interrogazioni). Dal “Libre di Visita” di monsignor Parragues.

[5] Per espiare la pena pubblica, va segnalato come in alcuni casi fosse l’intera comunità a risponderne in solido. Il denaro raccolto veniva            impiegato per migliorare il decoro degli edifici chiesastici, per quanto non sempre le comunità potessero far fronte alla sanzione comminata, questo a causa delle condizioni di generale miseria in cui vivevano le popolazioni rurali del Regno di Sardegna.

[6] Questo decreto è riferito alla visita a Villasor.-ASC Vol.3/2 cit.,c.18.