Sa lolla de sant’Arega

 

In molte chiese rurali della Sardegna c’è o c’era il portico, nella facciata e spesso anche ai lati. Questa scelta architettonica serviva per dare riparo ai pellegrini, quando c’erano le intemperie e per consentire un adeguato riparo ai viandanti. Non sempre comunque di queste strutture se ne faceva un uso adeguato, tanto che spesso gli alti prelati, durante le visite pastorali, ne ordinavano la demolizione.

Don Maxia, a Decimo dal 1922, dopo aver rivoluzionato architettonicamente le chiese del paese, volle ancora mettere mano alla chiesa di santa Greca. Questa nel 1928  subì tante modifiche che ai pellegrini, convenuti per la festa, sarebbe stato difficile riconoscerla. Nella chiesa , sino al 1933 c’era il portico, ma al parroco forse non piaceva o lo riteneva poco consono alla struttura del tempio. Venne modificato con la costruzione del campanile, ma era, comunque intenzionato a costruirne uno più leggero e moderno.

A tal proposito Don Maxia, scrive sul “Libro Storico”, che in seguito ad accordi con S.E. Monsignor Arcivescovo, ai primi di novembre sarebbero iniziati importanti lavori  nella chiesa di santa Greca, onde avere un suo collaudo durante la visita fissata per il 20 Gennaio prossimo (1933, Anno Santo). Come detto era intenzione del parroco demolire la loggia antistante la chiesa, le ragioni dello smantellamento, secondo il reverendo, valide e fondate erano suggerite da : “… tante ragioni: perché troppo grande e toglieva la vista alla facciata; pericolante causa la sua vetustà soggetta a continua devastazione da parte di piccoli e grandi per aquipavi (sic) uccelli; ricovero di mendicanti, di passeggeri e di bestie tutto l’anno; luogo scelto dalle donne scostumate,specialmente di Cagliari, per commettere ogni sorta di turpitudini con giovani e coniugati, nonostante i continui ricorsi del Rev. Parroco ai Carabinieri ed al Barraccellato”. L’intento era quello di “fare un portico con quattro colonne (della stessa loggia) con soletta di cemento armato.. . lavoro snello, adatto alla facciata”.

 Il portico fu demolito, o meglio raso al suolo, molto rapidamente.

Le incomprensioni cominciarono a evidenziarsi, tanto che il vicario generale della diocesi, il 5 Novembre del 1933 scriveva a Don Maxia: “Persone degne di fede ci hanno riferito che la S.V. ha demolito l’atrio antistante la chiesa di santa Greca, per costruirne un altro in cemento armato. E tutto ciò senza che abbia ricevuto alcuna autorizzazione né da questa curia, o dalla commissione d’arte sacra, né dalla direzione dell’ufficio per la conservazione dei monumenti. Sappiamo ancora che fra le pietre di cui era formato l’atrio, vi sono pezzi di colonna ed altra parte di stile romanico che pare siano destinate per altri scopi, o peggio ancora, per servir di materiale per il nuovo fabbrico. Con la presente intendo ordinarle di sospendere i lavori … “ . Il Parroco asserisce che  aveva eseguito i lavori; “… in seguito ad accordi con S. E. Monsignor Arcivescovo”. Questa lettera portò alla sospensione dei lavori, ma ormai tutto, praticamente era stato demolito.

Quasi contemporaneamente (11.12.1933) lo stesso vicario generale scriveva alla soprintendenza ai monumenti , presieduta dal Professor Antonio Taramelli : “Il parroco di Decimomannu ha fatto demolire il portico della Chiesetta di Santa Greca, perché minacciava di cadere da un giorno all’altro; e sta preparando le fondamenta per riedificarne un altro … . Nella demolizione ha trovato, dei pezzi di colone di granito le quali, dopo che fu tolta ad esse la calce, presentavano, secondo ciò che si dice, segni di antichità, e così pure altra pietra di tufo, che non si sa a qual epoca appartengano. Mi faccio un dovere di comunicare la notizia alla S. V. Ill.ma perché si compiaccia quanto prima (perché non restino per lungo tempo sospesi i lavori) di inviare qualche persona competente affinché esamini i ruderi ritrovati, ed ordini dove ed in qual modo potrebbero essere collocati, se essi devono essere conservati …”  .

Taramelli il 12. Dicembre 1933 si recò a Decimo per un sopraluogo e in accordo con il podestà chiese la sospensione dei lavori, scrisse anche al vicario generale e lo informò che avrebbe conferito con l’Arcivescovo. Il parroco Don Maxia, descrive con acredine la visita del professor Taramelli, dell’ingegner Vicario e di un suo assistente: “ Il 12 Dicembre venne finalmente questo personaggio nell’archeologo Professor Taramelli, accompagnato dall’ Ingegner Vicario e da un assistente. Il Taramelli con viso arcigno e parole pungenti esordì la sua filippica, però di fronte al mio contegno fermo e forte in difesa del clero e dei diritti della Chiesa, presto si calmò ed ascoltò anche le mie ragioni basate sul fatto che nessun documento ne testimonio può provare che la Chiesa di Santa Greca sia catalogata come Monumento Nazionale. Diventato ragionevole mi chiese scusa … “.

E’ certo che il clima si stava arroventando e che Don Maxia, poco educato all’ archeologia, voleva imporre il suo modo di fare, come sempre d’altronde.

Taramelli nella sua lettera a Monsignor Piovella del 18.XII.1933 rende noto : “Faccio seguito ai precedenti concerti verbali con E. V. Rev.ma e metto in precisi termini la progettata opera della soprintendenza per riguardo alla chiesa campestre di santa Greca di Decimomannu. Deploro che incosciente ignoranza di quel parroco, ebbe senza alcun riguardo abbattuto il bel portico aragonese che prospettava la Chiesa e rovinato in parte l’abside e la base della cupola bizantina di S. Greca. Se si potesse farlo, si dovrebbe destituire da prete e mandarlo a dir messa a Pantelleria. Ma poiché l’E.V. ha buona opinione di quel sacerdote, accontentiamoci di fargli pagare a colpi di biglietti da mille le sue malefatte. Occorre rifare il portico aragonese,mettere in vista gli elementi dell’età bizantina, e riprendere tutto il tratto usurpato intorno all’abside. La chiesa sarà completamente liberata e l’area circostante risanata, sarà alberata e recintata e così resa rispettabile … Verrò da V. E. appena le nostre pratiche saranno avviate in fase definitiva … “.   

Facciamo notare che il Taramelli, nonostante la sua carica di sovrintendente, nella lettera riporta molte inesattezze nell’attribuire a stili diversi in tempi non consoni al loggiato. Il consulente è comunque determinato verso il parroco e scrive al podestà di Decimo affinché cerchi un finanziamento per le riparazioni che si dovrebbero effettuare, intanto aggiunge: “ Si deve anche notare che il parroco ha compiuto un vero delitto del quale potrebbe essere chiamato a rispondere non solo dinnanzi alla Autorità religiosa, anche a quella giudiziaria. Egli non aveva nessun diritto di demolire l’atrio della Chiesa solo perché nella sua ignoranza non ne intendeva il valore. Chi ha fatto il male, faccia penitenza e la somma per reintegrare le parti distrutte del monumento, devono gravare assolutamente sul parroco stesso. Su questo punto la Soprintendenza non transige … “.

Sulla stessa lettera non si riserva di accusare il podestà di poca attenzione per non aver evitato che quel monumento fosse distrutto. Da questo momento ci fu un ping-pong di risposte epistolari.

Il podestà rispose che: “il signor parroco si accinse ai lavori in questione a mia insaputa, e che fui proprio io a farli sospendere per mezzo dell’ Autorità ecclesiastica non appena ne venni a conoscenza.”

Ma Taramelli rispondeva: “ Quanto alla sua responsabilità sui lavori di demolizione del portico monumentale, non è la Soprintendenza, ma la legge che la stabilisce in modo sicuro: 20 giugno 1909 n.364. Ella doveva dare avviso non tanto alla Autorità Ecclesiastica quanto all’Autorità dello Stato, da cui Ella dipende, come Podestà. Il resto sono parole inutili. Mentre Le ricambio l’ossequio, La prego  di fare premura sopra quel Parroco perché raccolga i fondi necessari al ripristino della Chiesa”.

Taramelli, intanto, il giorno prima aveva scritto a Don Maxia: “La benevolenza di S. E. l’arcivescovo ha attenuato i rigori di questa soprintendenza in rapporto alle leggi da Lei violate. Se per questa volta l’Ufficio non applica a suoi riguardi le penalità stabilite dalle vigenti norme per i trasgressori delle leggi sulla tutela Monumentale non sono meno severe le sanzioni che l’ufficio stesso Le deve applicare. Ella deve mettere in ripristino quanto arbitrariamente demolito.”

Circa tre mesi dopo il Taramelli scrive ancora all’Arcivescovo: “ … Detto portichetto e la relativa Chiesa, come E. V. sa, figura nell’elenco ufficiale dei Monumenti Nazionali fin dal 1902 e naturalmente anche nell’ ultima ristampa del 1922 (p. 104) … non è possibile che l’Ufficio Monumenti possa consentire a che un edificio monumentale e caratteristico della storia popolare sarda sia distrutto senza ragione. Il rev. Parroco ripetutamente asserisce di aver ricevuto precisi ordini di demolizione dall’E. V., ciò che a me sembra strano, dato l’amore che l’E. V. ha sempre dimostrato al nostro patrimonio artistico ….”.

Il portico comunque non sarà più ricostruito, non c’erano i fondi necessari, gli importanti materiali marmorei che lo costituivano, andarono dispersi.

Ma, Don Maxia non si limitò a modificare la facciata della chiesa, il portico e a costruire un nuovo campanile, andò oltre.

“La terz’opera era l’apertura d’una porta con relativa scala alla cripta detta, prigione di S. Greca, dalla parte del cortile (lato Atzeni), chiudendo l’altro accesso dall’ interno della Chiesa, vicino all’altare maggiore. Ciò era necessarissimo per evitare l’andirivieni con relativo piggia-piggia dei fedeli durante le S. Messe e funzioni nelle feste di S. Greca; ed anche per sicurezza della chiesa, perché  varie volte successe che dentro il vuoto vicino alla cripta, si nascosero malandrini per derubare durante la notte … e tutto riuscì ottimamente.”

Ancora una volta gli fu imposto, tardivamente di sospendere i lavori, Don Maxia scrive ;“Tutto questo per un ricorso Fatto da Decimo o da un decimese alla Sovrintendenza dei monumenti Nazionali.”

Il ricorso tardivo, portò alla perdita della scala antica e al capire cosa e dove fosse il vuoto citato dal Parroco.

Gli anziani di Decimo hanno riferito che nella parte sinistra della cripta era stato fatto un buco, e i bambini curiosi vi entravano, ma dopo pochi metri dovevano fermarsi.

 

Angelo Sanna