215 A.C. LA BATTAGLIA CAMPALE TRA SARDI PELLITI E CARTAGINESI CONTRO I ROMANI SI SVOLSE NEI PRESSI DI DECIMOMANNU    

Per i sardi non è mai stato facile essere indipendenti ed autonomi, solo in due occasioni la storia ci conferma che questo evento si realizzò, al tempo dei Punici e durante i Giudicati. Tra le altre sottomissioni la più gravosa fu quella subita da parte dei Romani, nessuna libertà era data ai Sardi che erano: “Oppressi da gravi tributi e da una sproporzionata prelevazione di grano”. In special modo durante la seconda guerra punica dopo la battaglia di Canne, dove Annibale riuscì a sconfiggere Roma, la dominazione Romana era mal sopportata anche perché conquistata in maniera truffaldina, stancò i Sardi che tentarono di ribellarsi, ma mancava loro una guida alla quale affidarsi, fu chiesto anche un aiuto ai punici.

Ampsicora, il primo per prestigio e per ricchezze, sardo “pellita” o forse punico, dichiaratamente contro i romani e a favore degli indigeni creò un movimento di ribellione. Questo costrinse Roma a decretare l’arruolamento di una legione da inviare in Sardegna. Il comando fu affidato a Tito Manlio Torquato che vent’anni prima 235 a.C., già aveva domato un’altra rivolta. Non sarà comunque questo    l’ultimo intervento dei romani per domare i Barbaricini, passeranno ancora 127 anni e saranno tributati otto trionfi ai capi romani, come per nessun altro popolo, non tutti condivisi e meritati. Dovettero usare anche i cani molossi affamati, fatti venire dall’Italia, per scovare i “pelliti” dalle caverne.

Manlio radunò 22.000 fanti e 1200 cavalieri, armò anche i marinai che guidavano la flotta sbarcata a Cagliari. Marciò incontro ai ribelli e pose il campo accanto a quello di Amsicora, nei pressi di Milis. In quel momento Amsicora non si trovava accanto ai suoi soldati, ma in Barbagia a reclutare giovani pelliti per la ribellione.

Hosto, figlio di Ampsicora e suo luogotenente, era al comando dell’accampamento. La sua baldanza giovanile lo portò, dimentico dei consigli datigli dal padre, a un’irruenza tale che accettò la battaglia da parte di Manlio Torquato.

  Fu sbaragliato e rimasero sul campo 3000 Sardi, 1300 furono fatti prigionieri. Lo stesso Hosto fuggì verso il capoluogo della regione, Cornus.

I romani in quel momento, erano padroni della situazione e non avrebbero avuto bisogno di continuare la battaglia, anche perché Asdrubale non era riuscito a sbarcare nella zona a causa di una tempesta che lo dirottò alle Baleari. Tito Manlio non sentendosi sicuro, evitò di inoltrarsi in Barbagia e ripiegò verso Cagliari.

Intanto Asdrubale riuscì a sbarcare e riunirsi ad Ampsicora  ed Annone, questi inseguirono Tito Manlio distruggendo e saccheggiando tutto , il territorio degli alleati dei romani, i sardi sottomessi. Sarebbero arrivati sino a Cagliari se Manlio non avesse deciso di fermarli alle porte della città. Secondo   Francesco Cesare Casula nella piana  di Decimomannu. [1]

La battaglia campale, riportata in tutti gli annali di storia, si svolse da prima con tattiche di studio e piccole scaramucce, poi vi fu uno scontro duro che durò 4 ore.

Tito Livio ne “Le storie” così descrisse la battaglia : “ Poiché i Sardi erano avvezzi ad essere facilmente battuti, furono i punici che lottarono a lungo con esito incerto, ma quando la strage e la fuga dei Sardi fu completa anch’essi vennero sbaragliati: furono circondati dall’ala dell’esercito romano che aveva messo in fuga i Sardi, allora la carneficina fu peggiore della battaglia. I nemici ebbero 22.000 morti, persero 27 insegne e circa 3.700 prigionieri tra Sardi e Punici: nel combattimento si comportò splendidamente il comandante Asdrubale, fatto prigioniero, coi cartaginesi Annone e Magone.”        

Ne i capi Sardi resero meno degna quella battaglia con la loro morte: Hosto, infatti cadde sul campo e Ampsicora che fuggiva con pochi cavalieri, quando seppe della strage e della morte del figlio, durante la notte affinché nessuno potesse impedirglielo, si diede la morte”.

 



[1] Lo scontro finale tra le forze sardo puniche (Ampsicora) e i Romani, comandati da Manlio                        Torquato, si svolse secondo alcuni storici tra; Sanluri e San Gavino e secondo altri Decimo e Sestu, non è facile, mancando le testimonianze, dare una risposta certa. Neanche studiando meticolosamente gli scritti di Tito Livio, di Silio Italico e altri, si riesce ad avere risposte certe ne compatibili poiché la descrizione è precisa sull’ambiente politico amministrativo ma non sul sito dell’effettuazione dell’evento.

 

La battaglia finale si svolse nel medio campidano meridionale, secondo gli scritti classici, in territorio amico dei romani, poiché Manlio Torquato evitò lo scontro nell’alto Campidano sotto la minaccia dei Sardi filo punici e nel territorio degli Ilienses detti prima Pelliti poi Mastrucati. I Romani sottomisero la Sardegna a forza di inganni e di bugie ma purtroppo anche per un netto e fortunato dominio militare.

Comunque dopo le ingenuità di Hosto a Milis e la sua conseguente sconfitta  i romani preferirono fare “rotta” quasi una fuga, certo tattica ma anche frutto di insicurezza, verso Caralis e il territorio loro più conosciuto e amico. La fuga durò forse due o tre giorni, quindi da Milis luogo presunto del primo scontro, percorsero dai 60 ai 90 Km. Per cui dovevano trovarsi a sud del medio Campidano, come detto dopo Marrubiu verso Sardara quando Manlio decise che bisognava fermare i ribelli che mettevano tutto a ferro e fuoco allo scopo di non lasciare punti di appoggio ai Romani. Da un calcolo empirico si può pensare che accanto a Sanluri o nella piana successiva circa una giornata ancora di marcia verso Caralis Manlio avesse deciso di dare battaglia. Come dicono gli scritti alla confluenza dei fiumi che caso vuole ci siano vicino a Sanluri-San Gavino e Decimo-Sestu. Altra considerazione secondo Taramelli e soprattutto Corona era che Decimo  molto vicino a Caralis, circa mezza giornata di marcia, 10 miglia romane, per cui la si poteva raggiungere molto facilmente. Pensiamo che Caralis fosse anche munita, ma non crediamo che i romani preferissero un combattimento attorno allo stagno o sui colli, dove i sardi meno disciplinati si sarebbero trovati a loro agio. Ancora, l’esercito era composto da 25000 uomini, in questo caso 22000 e avrebbero impiegato da Decimo circa sei ore a raggiungere Caralis se si considera da quando partiva l’avanguardia a quando arrivava la retroguardia, anche se il tempo di marcia necessario era di tre ore a percorrere 10 miglia “passum”. Ma la legione era inseguita e se i sardi fossero giunti vicino ai romani avrebbero potuto subito ingaggiare una lotta senza tattiche e con una battaglia non campale ma tra uomo e uomo, in questo caso Manlio non avrebbe potuto attuare il suo piano di battaglia, che invece attuò. In definitiva i romani scelsero il luogo del combattimento in “casa” loro , non lontano da Caralis anche se mancavano i rinforzi, infatti Manlio dovette armare anche i marinai, cosa che di solito non si faceva.

Sino a quando la storia non ci renderà le testimonianze il dubbio sul luogo dello scontro permarrà: Anche se questo fatto puramente marginale, non cambierà niente.